mercoledì 31 dicembre 2008

Gaza: Barak è favorebole alla tregua proposta dai francesi (e Hamas?)

di Barry Rubin

31 Dicembre 2008

Il ministro Barak valuta positivamente il cessate il fuoco proposto dall'Unione Europea. Ma il 2008 di di Israele finisce com’era cominciato. Sotto tiro.

Civili israeliani sotto i missili di Hamas ad Ashkelon

Ieri l’Europa ha chiesto a Israele un “cessate il fuoco” che garantisca l'accesso degli aiuti umanitari nella Striscia di Gaza. Gerusalemme si è data 48 ore di tempo per valutare la proposta francese. Il ministro della difesa Barak ha detto di essere favorevole alla tregua. Domani Tzipi Livni volerà a Parigi per discuterne con il presidente Sarkozy che nei giorni scorsi aveva definito “spropositata” la reazione israeliana. Obama resta prudentemente in silenzio mentre Bush si tiene in contatto con Abu Mazen e ringrazia Mubarak per il comportamento tenuto dall’Egitto. Rispunta anche Richard Falk, ispettore per i diritti umani alle Nazioni Unite, che denuncia le “scioccanti atrocità” commesse dagli israeliana a Gaza. Pubblichiamo un editoriale di Barry Rubin apparso sul "Jerusalem Post" che fa il punto sugli scenari di guerra in gioco e sulla strategia mediatica e militare di Hamas.

Non c’è più niente di chiaro nella strategia di Hamas. L’organizzazione offre a Israele di scegliere tra due ipotesi: subire l’attacco dei razzi e quello dei media, e pensa che la situazione attuale si possa riassumere così: “Noi vinciamo o voi perdete”.

Opzione A. Il “cessate il fuoco”. Termina il “cessate il fuoco” e Hamas cerca di ottenere pace e tregua necessari a incrementare il suo esercito e consolidare il suo potere a Gaza. Israele garantisce gli approvvigionamenti a patto che non ci siano altri attacchi. Dal punto di vista pragmatico del mondo occidentale questa sarebbe una grande occasione per mettere un freno alla crisi in atto. Ma Hamas non è un’organizzazione pragmatica di stampo occidentale. I suoi nemici sono proprio la pace e la tregua, non solo a causa della sua ideologia – la sfera divina gli comanda di distruggere Israele – o per la sua immagine – di eroi e martiri – ma anche perché il suo esercito ha bisogno di reclutare affiliati tra le masse per una guerra permanente, e quindi deve guadagnarsi il consenso della popolazione. Hamas non ha alcun programma per lo sviluppo del benessere del popolo palestinese. Non vuole educare i bambini a diventare dottori, insegnanti, o ingegneri. La sua piattaforma politica si sviluppa intorno a un solo punto: guerra, guerra, una guerra senza fine, fatta di sacrificio, eroismo, e martirio fin quando non sarà raggiunta la vittoria totale. Così finisce l'ipotesi “cessate il fuoco” .

Opzione B. I razzi. Termina il “cessate il fuoco” e riprendono a piovere missili su Israele, accompagnati da mortai e da attacchi occasionali di Hamas lungo la linea di confine. Israele non reagisce. Hamas si esalta: sei debole, sei confuso, sei privo di difese. Accorrete gente, insorgete per distruggere la “tigre di carta”! Così vengono reclutati nuovi adepti, i palestinesi della West Bank assistono con ammirazione a questi scontri con il nemico, e il mondo arabofono ne resta impressionato. Ricordate il 2006, dicono. E’ proprio come con l’Hezbollah. Israele è indifeso di fronte ai missili.

Opzione C. I media. Israele torna allo scontro armato. Proseguono i piani per bombardare obbiettivi militari specifici che però sono stati deliberatamente collocati tra i civili da Hamas. Se ci sarà un rischio troppo alto di colpire i civili, Israele non attaccherà. Ma c’è una linea al di sotto della quale ci sarà un rischio di fare vittime innocenti, ed è giusto che sia così. A quel punto i sorrisi compiaciuti spariranno dai volti dei leader di Hamas. Tuttavia gli islamisti hanno un’arma di riserva, i loro appelli ai media. Questi arroganti, eroici, macisti vincitori di ieri si sono trasformati in vittime compassionevoli. Hamas annuncia ogni genere di tragedia disastrosa e i reporter che non sono sul terreno la recepiscono senza alcun riscontro.

Ogni singolo colpo è, ovviamente, un palestinese civile morto. Non ci sono soldati a Gaza. E le disgrazie sono sempre “sproporzionate”: Hamas ha predisposto tutto perché si segua questa via. L’organizzazione terrorista ha bisogno di fotografi complici che immortalino bambini mentre fingono di essere feriti. Immagini che una volta pubblicate nei giornali occidentali diventano fatti incontrovertibili. La guerra si può vincere con i missili e i mortai, articoli di giornali certamente no. Certo, è stato causato un danno materiale che ostacola lo sviluppo materiale di Gaza. Ma questo ad Hamas non interessa, gli basta semplicemente garantire la distruzione della propria base concreta. Hamas si sta auto-distruggendo. In particolare è stremata a causa degli attacchi israeliani che si focalizzano su obiettivi militari.

Conclusione: il problema senza soluzione. Sicuramente Israele non può raggiungere una completa vittoria. Hamas non cadrà. La questione non si risolverà. Per Hamas la sopravvivenza deve coincidere con la vittoria. Hamas, come l’OLP, conquista una “vittoria” dopo l’altra ma ogni volta conclude la sua esperienza politica in un modo peggiore del precedente. Il conflitto terminerà. Comunque vada a finire questo ciclo di violenze, anche queste giornate finiranno. Tornerà la pace e i rifornimenti rifluiranno nuovamente a Gaza. Così fra qualche mese il processo si ripeterà. Con una differenza fondamentale: Israele usa il suo tempo non solo per il training militare ma anche per educare i suoi bambini, costruire infrastrutture, alzare il suo standard di vita. Hamas non fa nulla di tutto questo. “Noi crediamo nella morte – dice Hamas – voi credete nella vita”. State attenti a ciò che desiderate, lo potreste ottenere.

Barry Rubin è direttore del Global Research in International Affairs

Traduzione di Kawkab Tawfik

Tratto da "The Jerusalem Post"

martedì 30 dicembre 2008

La nascita di Israele

(brevissimo riassunto)

Nella rivolta palestinese del '36 morirono circa 6.000 palestinesi, circa 4.500 per mano di altri palestinesi. 100 furono impiccati dagli inglesi. 30.000 palestinesi fuggirono all'estero per paura della violenza di altri palestinesi.

La causa è banale, come sempre. Il 15 aprile 1936 due ebrei furono uccisi da arabi che li rapinavano; ci fù una rappresaglia, il Gran Muftì di Gerusalemme (futuro "amico" di Hitler e organizzatore delle SS islamiche) soffiò sul fuoco. trasformò i tumulti in Jihad. Gli obiettivo non erano solo gli ebrei, ma anche inglesi occupanti e soprattutto arabi “collaborazionisti”. Particolare foga vi fù contro le proprietà degli ebrei.

La commissione Peel nacque quando gli inglesi, preso atto che le due parti, date le violenze convivere sarebbe stato ben difficile, inviarono a Gerusalemme Lord William Peel. Egli convocò le parti (Arabi e Sionisti), ma il Gran Muftì rifiutò la convocazione, voleva una precondizione, il blocco totale dell'immigrazione ebraica. (la “Notte dei cristalli “ è del '38) .

Non dopo la discussione rifiutò, prima. Gli inglesi, in segno di apertura ridussero l'immigrazione ebraica a 1.800.

Il Muftì accettò di sedersi ad un tavolo? Ovviamente no.

Il 7 luglio la commissione Peel pubblicò il suo rapporto. Mediando le posizioni dei sionisti e del re di Transgiordania Abdullah e il politico iracheno al Said.

Il risultato fu uno Stato ebraico di 5.000 km^2 e 20.000 km^2 di Stato arabo.

L'Irgun,organizzazione estremista ebraica, rifiutò. Ma l'Irgun era minoritario, il XX congresso sionista di Zurigo, pur con contrasti, anche forti, approvò nell agosto 1937 con 229 voti contro 160.

Abdullah ed al Said erano favorevoli e lo era anche il clan moderato dei Nashashibi.

Il Muftì fece saltare tutto inasprendo la guerra civile interpalestinese, (da qui il gran numero di palestinesi uccisi e fuggiti, i “collaborazionisti”, che volevano pace e convivenza, tentarono addirittura di sedare i tumulati attraverso le”squadre delle pace”) . Tutto saltò.

Fu allora che il governo britannico dell'indecente, vigliacco Chamberlain, indisse (aprile '38) una altra commissione, presieduta da Sir Woodhead. Ironia della sorte il suo rapporto fu consegnato al governo il 9 novembre del 1938, il giorno della “Notte dei cristalli”.

Il 7 febbraio '39 fu indetta una conferenza che portò al Libro Bianco del 17 maggio 1939.

Lo stato ebraico sparì totalmente, lo stato arabo sarebbe sorto 10 anni più tardi su tutto il territorio mandatario, neanche un centimetro escluso. Inoltre l'immigrazione ebraica venne limitata a 75.000 in 5 anni fino al 1944, poi se ne sarebbe occupati gli arabi. Ovviamente l'organizzazione ebraica rifiutò.

I Nashashibi erano entusiasti, nonostante ciò furono messi in minoranza. Il Gran Muftì voleva un numero di immigrati ebrei massimo pari a zero, voleva l'indipendenza subito, non voleva aspettare 10 anni. (così non l'ebbe mai). Il Mufì si alleò con il re saudita e con Hitler, allo scopo per espellere gli ebrei dalla Palestina. Nel maggio 1941 il Muftì proclamò il Jihad dei musulmani di tutto il mondo a fianco dell'asse nazifascista.

Il libro bianco, per quel che riguardava l'immigrazione ebraica venne rispettato.

La guerra mondiale era alle porte.

Dachau era già in funzione, Auschwitz lo sarebbe stato poco dopo.

E fu allora che Ben Gurion disse “Aiuteremo i britannici nella guerra come se non ci fosse il Libro Bianco e lotteremo contro il Libro Bianco come se non ci fosse la guerra ”. L'agenzia ebraica organizzò i volontari nell'armata britannica che nel '44 raggiunsero i 50.000. Ebbero più tardi anche una brigata a parte con bandiera con la stella di David.

Per questo poi ebbero lo Stato, erano cobelligeranti con gli alleati , e vinsero. La dirigenza degli arabi si schierò con i nazisti, e persero.

lunedì 29 dicembre 2008

I calcoli di Hamas

Janiki Cingoli, 62 anni, è direttore del Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente (Cipmo), riconosciuto dal ministero degli Esteri dal 1998. E’ uno dei massimi esperti di questioni mediorientali. Panorama.it l’ha contattato per conoscere il suo parere sull’ attacco militare a Gaza e sui possibili scenari futuri nella regione.


Cacciabombardieri F 16 della Forza Aerea Israeliana (IAF)

Come si è arrivati a questa “resa dei conti”?
“Il 19 dicembre è scaduta la tregua, che bene o male aveva retto per buona parte del 2008. Hamas ha annunciato che non avrebbe rinnovato la tregua perché riteneva non adempiute alcune condizioni, specialmente riguardo i valichi da e per Gaza. Così è iniziata la pioggia di razzi verso Israele, razzi che sono sempre più potenti, ormai arrivano a 100 km di gittata. Una reazione, voluta e provocata da Hamas, era inevitabile”

Perchè voluta? Hanno subito molte perdite
“Hamas ha bisogno di passare come il martire della stuazione e vuole attirare l’attenzione sulla condizione di vita a Gaza. In definitiva vogliono arrivare a una tregua più favorevole ed essere tenuti in considerazione”

E non rischiano invece di essere annientati da Israele?
“C’è una cosa che tutti i comandanti israeliani hanno ben chiara: ‘non ripetere il Libano’. Anche se Barak minaccia un intervento lungo e anche via terra, solo militarmente Israele non può vincere”

Perché?
“Se occupa di nuovo la Striscia di Gaza deve poi tenerla sotto controllo con un costo in termini di vite umane, denaro e legittimità internazionale che non può permettersi di pagare. In più dovrebbe farsi carico di un milione e mezzo di palestinesi carichi d’odio. E’ una tenaglia montata da Hamas”

Ma una soluzione politica sembra quanto mai lontana
“In questo momento ci sono due strade: o si va a uno showdown ancora più progressivo o si riapre un negoziato. Con l’Anp, l’Egitto come mediatore e anche Hamas. Dopo aver mostrato i muscoli, forse nel giro di 5-6 giorni, le parti cominceranno a trattare”

Hamas sembra pronta a tutto fuorché a trattare
“Hamas è fondamentalista ma non illogico. è ormai la principale forza politica palestinese: Al Fatah è un partito ormai fatiscente, ha perso i contatti coi civili. Cosa che invece i fondamentalisti mantengono, e possono chiamare a una “terza intifada” contro Israele ma anche contro Fatah. Non si può non tenere conto di Hamas, ma bisogna esigere la fine degli attentati e dei razzi”

Israele può ottenere la fine del lancio di Qassam?
Solo con un intervento dell’aeronautica no. Ma un intervento di terra presenta rischi più gravi

Anche in campo elettorale?
“Le elezioni sono a febbraio. E’ chiaro che il ministro della difesa laburista Barak adesso torna figura di primo piano nell’arena politica, dopo essere stato accusato di eccessiva mollezza dal Likud e dalla Livni. Ma un’eccessiva durata dell’operazione potrebbe essere controproducente: il Libano insegna.”

Quali sono le responsabilità della comunità internazionale?
“Il fatto che non sia stato accettato l’accordo de La Mecca è uno dei motivi del rafforzamento di Hamas. E poi la dottrina Bush della divisione del mondo in buoni e cattivi ha di fatto rafforzato solo i “cattivi”: la Siria ora tratta con Israele e partecipa ai vertici internazionali, l’Iran fa da leader “anti-sionisti”, Hezbollah è partito di governo in Libano e Hamas ha il controllo di Gaza …”

Panorama

http://liberaliperisraele.ilcannocchiale.it/post/2130163.html

Obama farebbe la stessa cosa

Se qualcuno spedisse razzi nella mia casa dove dormono le mie due figlie la notte, farei tutto per fermarlo, e mi aspetto che israele faccia la stessa cosa.

Barack Obama

domenica 28 dicembre 2008

L'APOCALISSE ALLE PORTE di Benny Morris

L'APOCALISSE ALLE PORTE di Benny Morris

Molti israeliani oggi si sentono accerchiati dai muri — e dalla storia — nel loro Stato, nato 60 anni or sono, proprio come lo furono nel 1967, alla vigilia della «Guerra dei sei giorni» in cui sconfissero gli eserciti di Egitto, Giordania e Siria nel Sinai, in Cisgiordania e sulle alture di Golan.Durante le settimane che precedettero il conflitto gli egiziani avevano scacciato le forze di pace dell'ONU dal confine tra Sinai e Israele, sbarrato lo Stretto di Tiran alle navi israeliane e al traffico aereo, messo in campo cinque divisioni corazzate e di fanteria sulla frontiera di Israele e firmato una serie di patti militari con Siria e Giordania, che consentivano loro il dispiegamento di truppe in Cisgiordania.

Le stazioni radio e i leader politici dei Paesi arabi strombazzavano di ora in ora l'annuncio dell'imminente trionfo: gli ebrei sarebbero stati scaraventati in mare.
Gli israeliani, o piuttosto gli ebrei israeliani, cominciano a provare le medesime sensazioni avvertite dai loro genitori in quei giorni apocalittici che precedettero l'attacco dell'esercito israeliano. Oggi Israele è uno Stato molto più prospero e potente - all'epoca contava poco più di due milioni di abitanti (contro i 5,5 milioni attuali), un bilancio di meno del venti percento di quello odierno e nessun deterrente nucleare - eppure la stragrande maggioranza della popolazione guarda al futuro con profonda apprensione.

I presentimenti più cupi scaturiscono da due fonti generali e da quattro cause specifiche. I problemi generali sono semplici: innanzitutto, il mondo arabo e in genere islamico, malgrado le speranze israeliane dal 1948 a oggi, non ha mai riconosciuto la legittimità della creazione di Israele e continua a opporsi alla sua esistenza, nonostante i trattati di pace firmati dai governi di Egitto e Giordania con lo stato ebraico rispettivamente nel 1979 e nel 1994.

Secondo: mentre l'Olocausto sfuma ormai sempre di più in un ricordo sbiadito e lontano e le pressioni del mondo arabo emergente e desideroso di affermare la sua potenza si fanno incalzanti, l'opinione pubblica in Occidente (e in democrazia, i governi non possono far altro che seguirla) si allontana gradualmente da Israele, mentre guarda con sospetto il trattamento riservato dallo Stato ebraico ai vicini palestinesi e ai suoi cittadini arabi. E' indicativa la popolarità di alcune recenti pubblicazioni assai critiche verso Israele, come Pace non apartheid in Palestina, di Jimmy Carter, e La lobby israeliana e la politica estera americana, di John Mearsheimer e Stephen Walt. Solo un paio di decenni fa, tali libri avrebbero suscitato scarso interesse.
Per entrare nello specifico, Israele deve affrontare una combinazione di minacce, tutte ugualmente terrificanti.

A est, l'Iran si affretta a completare il programma nucleare, che secondo gli israeliani e i servizi di spionaggio internazionali è destinato alla produzione di armi atomiche. E questo, abbinato alle ripetute smentite da parte del presidente iraniano Ahmadinejad dell'esistenza dell'Olocausto (e dell'omosessualità in Iran), che basterebbero a provare la sua irrazionalità, e ai pubblici appelli a distruggere lo Stato ebraico, mette sulle spine i leader politici e militari di Israele.

A nord, il movimento fondamentalista libanese di Hezbollah, anch'esso votato alla distruzione di Israele, si è riarmato fino ai denti dall'estate del 2006, quando la guerra lanciata da Israele per sbarazzarsi di quell'organizzazione non ha dato i risultati sperati. Oggi, secondo le stime dei servizi segreti israeliani, Hezbollah dispone di un arsenale bellico doppio rispetto al 2006, che consiste di 30-40.000 missili di fabbricazione russa forniti da Siria e Iran, alcuni dei quali possono raggiungere le città di Dimona e Tel Aviv. Se dovesse scoppiare un conflitto tra Israele e l'Iran, o Israele e la Palestina, certamente Hezbollah si getterà nella mischia.

A sud, Israele deve vedersela con il movimento islamista di Hamas, che controlla la Striscia di Gaza e la cui costituzione o statuto promette di distruggere Israele e di ricondurre ogni centimetro quadrato della Palestina sotto il governo e la legge dell'Islam.
Oggi Hamas vanta un esercito di migliaia di uomini, uno spiegamento di molte migliaia di missili — i razzi Qassam di fabbricazione locale e i missili Katyusha e Grad di provenienza russa, finanziati dall'Iran e contrabbandati attraverso tunnel dal Sinai, mentre l'Egitto chiude un occhio — la cui gittata raggiunge le città di Ashkelon, Ashdod, Kiryat-Gat e i sobborghi di Beersheba. Le ultime settimane hanno visto un martellamento giornaliero di Qassam contro gli insediamenti israeliani di confine, provocando disperazione, panico e fuga. L'opinione pubblica e il governo israeliano ne hanno avuto abbastanza e l'esercito si prepara a lanciare una pesante controffensiva nei prossimi giorni.

Ma non basterà a risolvere i problemi sollevati da una Striscia di Gaza popolata da un milione e mezzo di palestinesi impoveriti e disperati, governati da un regime di fanatici che odiano Israele. E una massiccia operazione di terra da parte di Israele, allo scopo di invadere la Striscia e distruggere le milizie di Hamas, con ogni probabilità si ritroverebbe impantanata prima ancora di riuscire nel suo intento. Senza contare che, se l'offensiva dovesse andare a segno, il nuovo dominio di Israele su Gaza, senza limiti di tempo, risulterebbe ugualmente inaccettabile.
Ma se Israele non prende una decisione, il futuro è carico di presagi altrettanto spaventosi. I Qassam, a differenza dei Katyusha e dei Grad, sono armi relativamente innocue — solo una dozzina di israeliani hanno perso la vita in questi attacchi nell'ultimo decennio — ma si dimostrano molto efficaci nel seminare terrore e sgomento. Se aumenta il rischio di lanci missilistici, come avverrà inevitabilmente con il crescente arsenale di Hamas, la vita nel Sud di Israele potrebbe diventare intollerabile.

La quarta minaccia immediata è interna allo Stato di Israele e proviene dalla minoranza araba. Nel corso degli ultimi due decenni, i cittadini arabi di Israele (che ammontano a 1,3 milioni) si sono sostanzialmente radicalizzati, rivendicando apertamente la loro identità palestinese e abbracciando la causa nazionale della Palestina. La maggior parte di essi afferma di sostenere il loro popolo, anziché il loro Stato (Israele). Molti leader di questa comunità, approfittando delle istituzioni democratiche israeliane, hanno appoggiato più o meno dichiaratamente Hezbollah nel 2006 e invocano all'unisono una qualche forma di «autonomia » e lo scioglimento dello Stato ebraico.

Non sul campo di battaglia, ma in campo demografico gli arabi si sono già assicurati la vittoria: il tasso di natalità tra gli arabi israeliani è tra i più elevati al mondo, con 4-5 figli per famiglia (contro i 2-3 figli per famiglia tra gli ebrei). Gli esperti sono convinti che a questo ritmo verso il 2040 o il 2050 gli arabi rappresenteranno la maggioranza della popolazione israeliana. E nel giro di cinque-dieci anni gli arabi (gli arabi israeliani sommati a quelli che risiedono in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza) formeranno la maggioranza della popolazione in Palestina (il territorio che si estende tra il fiume Giordano e il Mediterraneo).

Ma le frizioni tra israeliani e minoranza araba costituiscono già un fattore politico assai preoccupante. I leader arabi di Israele reclamano da tempo l'autonomia e nel 2000, all'inizio della seconda Intifada, migliaia di giovani arabi israeliani, per solidarietà con i loro fratelli nei territori semi-occupati, hanno scatenato disordini lungo le principali arterie israeliane, bloccando il traffico, e nelle città a popolazione mista. Gli ebrei israeliani temono che alla prossima occasione i tumulti saranno molto peggiori e considerano la minoranza araba come una potenziale Quinta colonna.

In queste minacce specifiche, che siano a breve, medio e lungo termine, il denominatore comune è il fattore della sorpresa. Tra il 1948 e il 1982 Israele è riuscito a fronteggiare senza troppe difficoltà gli eserciti convenzionali arabi, sgominandoli in più occasioni. Ma la minaccia nucleare iraniana, geograficamente distante, e il complesso dei gruppi Hamas-Hezbollah, capaci di operare scavalcando confini internazionali e insediandosi fin nel cuore di città ad alta densità di popolazione, sommati al crescente scontento dei cittadini arabi di Israele verso lo Stato in cui vivono, presentano oggi un pericolo di natura completamente diversa. Sono queste le sfide che il popolo e i politici israeliani, vincolati da norme di comportamento liberali e democratiche di stampo occidentale, trovano difficili da affrontare e risolvere.

Benny Morris

La guerra contro Hamas ha inizio

L'azione di ieri rappresenta una reazione ai continui attacchi di Hamas, che non si sono fermati neanche durante la cosiddetta tregua. Nei giorni scorsi sono stati centinaia i Qassam e colpi di mortaio sparati dalla striscia di Gaza.

Israele ha deciso che era ora di finirla.

Qualsiasi azione non avente l'obiettivo di eliminare Hamas, sarebbe inutile e dannosa.
Senza questo obiettivo l'attacco sarebbe veramente sproporzionato, per essere una semplice ritorsione. L'obiettivo non sarebbe degno. Ma è guerra, dolorosamente necessaria.
Riprenderanno gli attacchi suicidi. La terza intifada, è dietro l'angolo. Hezbollah sembra più armato che mai.
Bisogna estirpare il male alla radice.

Dal 6 novembre a ieri solo dalle brigate Ezzedin al Kassem sono stati tirati sulle città israeliane 500 Qassam. Hamas vuole vittime civili proprie, forse più di quanto, per ora, voglia vittime civili israeliane. Ha continuato gli attacchi persino il giorno di Natale.
Era stata sfiorata la strage, 150 pellegrini cristiani palestinesi si stavano dirigendo a Betlemme e si sono salvati per miracolo quando una bomba di mortaio sparata dai miliziani palestinesi è caduta sul valico di Erez colpendo uno stabile nel quale si trovavano, ma senza scoppiare.

L'altro ieri, poi un razzo sparato dal Gaza ha ucciso due sorelle palestinesi, per errore. A dimostrazione che i razzi che usano non sono "fuochi d'artificio", ma armi letali.

Non è certa l'entità dei danni, dei civili sono probabilmente morti, e questa è una cosa dolorosa. Ma Hamas dopo il colpo di stato, quando ha preso il controllo di Gaza, è responsabile per le sue azioni.

Ma i membri di Hamas, non indossano divise, non mettono i mortai e lanciano i loro razzi lontano dalle abitazioni civili. Di fatto usano la popolazione come scudo, per poi piangere lacrime di coccodrillo ad un opinione pubblica europea compiacente.
Mirano ai civili.
Si danno la morte per la causa, ma non sono certo come Jan Palach che si diede fuoco per protesta contro l'invasione della Cecoslovacchia.

Da tempo la situazione era insopportabile.
L'Egitto, secondo fonti riportato dal quotidiano arabo ''al Quds al Arabi'', aveva concordato un ''operazione limitata'', inoltre, il ministro degli esteri egiziano, Ahmed Abu Reit, ieri pomeriggio in un discorso ufficiale ha detto ha avvertito Hamas che se non avessero smesso il lancio di Qassam
e di mortai, si sarebbero dovuti assumere la responsabilità dei loro gesti.
Sembra per la prima volta, che un rappresentante ufficiale di un paese arabo si esprime così chiaramente circa il comportamento di altri arabi. Le reazioni ufficiale dell'Egitto sono di condanna.

Il periodo è più delicato che mai.
Le elezioni in Israele sono imminenti, il mandato di Abu Mazen scade il 9 gennaio, Obama si insedierà il 20.

Vi è una condizione di realismo da fare, generalmente bisogna fare il contrario di quello che il tuo nemico vuole. E' evidente che Hamas ha provocato, costringendo Israele a reagire.
Israele ha forse sbagliato ? Per quanto doveva subire? Basta leggere lo statuto di Hamas per capire che non è certo l'inazione israeliana a fermarli, anzi li incoraggia, il ritiro da Gaza non era visto come un passo verso la pace, ma come una loro vittoria. Se la reazione si fermasse lì sarebbe cadere nella trappola. Forse si aspettava una normale azione punitiva. Il suo scopo è radicalizzare il conflitto, piangere un po' e aumentare i consensi.

Sarebbe stato meglio aspettare qualche giorno, inerme, che la pavida Europa dicesse "va bene, avete subito abbastanza, potete reagire, ma non troppo"?

Facile dirlo quando la tua popolazione fa lo shopping natalizio e non vive nel terrore, facile quando i tuoi bambini vivono felici i giorni di festa e non temono che la morte arrivi, indiscriminatamente , dal cielo.

venerdì 26 dicembre 2008

Tensione crescente fra India e Pakistan

Due settimane fa avevo scritto una bozza che si intitolava "Così iniziava la I° guerra mondiale " riguardo alle tensioni fra India e Pakistan e i paralleli con quelli fra Impero austro-ungarico e Serbia dopo l'attentato di Sarajevo.
Pensavo che la cosa sarebbe finita lì dopo un po' di tensione. L'intento era semplicemente mostrare come in passato eventi simili hanno portato alla guerra.

Poi l'ho cancellata perché pensavo che era eccessivo ed inopportuno, e perché la tensione sembrava scemata.

Oggi scopro che non era così, anche se continuo a credere che non scoppierà una guerra.

"Islamabad sospende le licenze dei militari e sposta truppe dal confine afghano a quello indiano"

A meno di uno stupido colpo di mano dell'esercito o dei servizi segreti Pakistani la cosa si risolverà diplomaticamente. Ovviamente la guerra non conviene a nessuno dei due. Non solo, il Pakistan rischia parecchio di più, è instabile e non controlla già parti tribali del suo territorio. Già spostando truppe verso il confine indiano peggiora la sua situazione.

Conviene a tutti ed in particolare agli Stati Uniti un raffreddarsi della tensione ed un maggiore impegno pakistano per il controllo delle aree tribali al confine con l'Afghanistan.

Forse era proprio questo lo scopo di chi ha organizzato gli attentati, accrescere la tensione fra i due paesi e avere maggiore mano libera nelle aree tribali. Se i servizi pakistani c'entrano con l'attentato, allora potrebbero benissimo fare una qualche provocazione all'India.

Al governo Pakistano sta l'onore di risolvere le proprie grane. Ripulire i propri servizi e combattere veramente il terrorismo. E noi, Occidente, dovremmo capire che questo è un nostro preciso interesse, aiutare. Non possiamo fregarcene.
Soprattuto l'Europa ha latitato parecchio...

giovedì 18 dicembre 2008

Lanciare scarpe a Baghdad

“Un giornalista ha lanciato una scarpa contro il presidente Saddam Hussein durante una conferenza stampa a Baghdad per protestare contro le violazioni dei diritti umani e lo stermino degli oppositori. L’uomo è stato arrestato e impiccato dopo poche ore, i corpi di tutti i componenti della sua famiglia sono stati ritrovati mesi dopo in una fossa comune”.

Non avete di certo mai letto una notizia del genere, primo perché probabilmente una cosa del genere non è mai accaduta, poi perché se anche fosse successo la notizia non sarebbe mai uscita."

http://www.loccidentale.it/articolo/lanciare+scarpe+a+baghdad.0063220

mercoledì 17 dicembre 2008

Non è più come una volta.

Una volta funzionava così: gli avvisi di garanzia venivano spediti tramite il corriere della sera, oggi si aspetta addirittura la chiusura dei seggi.

giovedì 11 dicembre 2008

Le promesse elettorali di Veltroni

Le promesse elettorali sono in genere carta igienica, soprattutto se perdi.
Chi si ricorda che Veltroni aveva promesso 15 miliardi di tagli.

Di cosa si lamenta il PD?
Si dovrebbero lamentare che i tagli sono troppo pochi.
E invece...

Sabina Guzzanti Intervista Paolo Guzzanti 2° Puntata

Parte 1

Parte 2

Parte 3

Parte 4

Parte 5

venerdì 5 dicembre 2008

Villari segretario di Stato??


Grazie al mitico Forattini

giovedì 4 dicembre 2008

Metropolitana


Si stà come sardine
in scatola,
d'autunno.









...e poi non dite che non sono poeta.

mercoledì 3 dicembre 2008

Rutelli: vanno tolti i figli a chi li manda a mendicare

Bravo Rutelli!
Finalmente hai tirato fuori le palle.


Accetteremmo mai che la nostra vicina di casa si piazzi sul marciapiede a chiedere l’elemosina con il figlio seminudo accanto...? E accetteremmo mai che il marito della signora, poi, passi a ritirare i soldi?». Le domande retoriche se le pone Francesco Rutelli che, anche in forza di una lunga esperienza in Campidoglio, ha fatto un salto nel leggere per intero la sentenza con cui la Cassazione ha derubricato, da riduzione in schiavitù a maltrattamenti in famiglia, il reato contestato dalla corte d’Appello di Napoli a una madre rom che praticava il «manghel» (accattonaggio) part-time con il figlioletto semisvestito anche di inverno. Rutelli non si limita all’indignazione. E per questo fa una proposta al Pdl: «Bene Maroni, che con il suo ddl raccoglie la proposta mia e di Amato sull’inasprimento delle pene per chi impiega i minori nell’accattonaggio. Ma, se la maggioranza è d’accordo, io proporrei che in ogni caso scatti la privazione della potestà genitoriale...».

Lei propone la linea dura ma è vero che la Cassazione ha cercato di differenziare tra il nomade adulto che riduce in schiavitù e il genitore rom che si fa accompagnare nell’attività di accattonaggio «molto radicata nella cultura e nella mentalità di tali popolazioni».
«Io non intendo criticare i magistrati. Prendo solo atto del dispositivo della sentenza anche se culturalmente non lo condivido. Penso, infatti, che noi dovremmo affermare con forza una visione universale dei diritti umani. I bimbi—senegalesi, rom, italiani — sono tutti uguali perché nel nostro Paese l’inquadramento di una persona al di fuori delle condizioni della convivenza civile non può essere tollerato».

Vieterebbe l’accattonaggio, come propone la Lega?
«Se un adulto è costretto a fare l’accattonaggio non commette reato perché qualsiasi persona potrebbe trovarsi in condizione di necessità, anche se è dovere della comunità sostenere le persone più povere. Ma l’accattonaggio sistematico, organizzato da alcune comunità rom, non è tollerabile perché vivere nel nostro Paese credo significhi anche superare aspetti di tradizioni evidentemente deteriori ».

Il ddl Maroni all’esame del Senato prevede un inasprimento delle pene per chi sfrutta i minori di 14 anni nell’accattonaggio. Che farà il Pd?
«In realtà un inasprimento delle pene, grazie a un emendamento per il quale mi sono molto battuto in consiglio dei ministri, era già previsto nel ddl Amato. La mia proposta, seppure non prevedesse un automatismo tale da far configurare sempre la riduzione in schiavitù, produceva gli stessi effetti del reato più grave, con tanto di pena accessoria di perdita della potestà genitoriale in caso di condanna per l’impiego di minori nell’accattonaggio».

Maurizio Gasparri (Pdl) ha annunciato emendamenti. Collaborerete?
«Io, innanzitutto, confermo che bene ha fatto il ministro Maroni a raccogliere quella norma che aveva previsto anche il governo Prodi. Ben venga poi un’intesa con il Pdl per ripristinare l’automatismo che, in presenza di minori di anni 14 portati sulla strada a mendicare, preveda le sanzioni proprie della riduzione in schiavitù».

La proposta Rutelli, dunque, inasprisce la pena prevista dal ministro Maroni?
«Rutelli va oltre Maroni? Se vogliamo, mettiamola così per il semplice motivo che queste erano le intenzioni originarie che ho sostenuto in seno al governo Prodi. La proposta politi- ca, ora, consiste in un appello bipartisan: migliorare il testo prevedendo la perdita della potestà genitoriale anche in caso di condanna per il delitto di impiego di minori nell’accattonaggio. Con una pena edittale più alta, da 3 mesi a 3 anni e 6 mesi, per consentire l’arresto in flagranza e il ricorso alla direttissima. Un rito più rapido, effettivamente dissuasivo: così i giudici avrebbero un chiaro riferimento della volontà del Parlamento».

Scusi Rutelli, da presidente del Copasir (Comitato di controllo sui servizi, ndr) come fa a seguire questo genere di problematiche?
«Guardi, le dico che nella nostra prima relazione al Parlamento sulla tratta degli esseri umani ci sarà un capitolo consistente sullo sfruttamento dei bambini che coinvolge migliaia di minori non accompagnati giunti nel nostro Paese. Molti di loro sono sfruttati sessualmente, per l’accattonaggio, per il lavoro minorile. Tutto ad opera della malavita senza che, devo dire, l’intelligence si sia occupata a fondo della tratta negli anni passati: poca cooperazione internazionale, scarse analisi su gli interessi che alimentano una spietata criminalità».

Lei si è occupato molto del dramma dell’infibulazione. Anche per questa pratica illegale c’è bisogno di misure di polizia?
«Fortunatamente contro la pratica dell’infibulazione, che spesso è un’imposizione dei capi maschi capace di generare violenza e atroce umiliazione in alcuni gruppi etnici, c’è stata una grande mobilitazione culturale femminile. Il fenomeno sembra ridimensionato, in Italia, grazie anche alle strutture come il servizio di medicina preventiva della migrazione del San gallicano guidato dal dottor Aldo Morrone. In queste ore, in cui i pescatori di Mazara del Vallo hanno salvato dalla morte sicura centinaia di immigrati, riconosciamo le virtù civili di un Paese in cui va tutelata sempre la vita e la dignità umana. Anche dei bimbi rom agli angoli della strada».

Dino Martirano
03 dicembre 2008

martedì 2 dicembre 2008

Sabina Guzzanti Intervista Paolo Guzzanti 1° Puntata

6 parti
1)

2)

3)

4)

5)

6)

Il vero conflitto di interessi. Sky - PD

La faccenda Sky puzza di conflitto di interessi. Ma non è quello che vuole fare credere l'opposizione, ovvero punire il concorrente di mediaset premium, ma semplicemente l'abrogazione di un priviliegio (l'iva al 10%, anzichè al 20%, come tutti).

Il conflitto di interessi è un altro.

Chi trasmette ''Youdem''? La TV del PD?
Sky.
Chi trasmette ''Red''? la TV di D'alema e dei dalemiani?
Sky.

Ho finito.

Repubblica è un giornale ridicolo

Perchè il socialismo non funziona

In una società dove "chiunque da secondo le proprie possibilità e riceve secondo i propri bisogni"....
Ci daremmo tutti malati!

Per questo il socialismo non funziona, perchè ha bisogno della coercizione.

Immaginiamo un lavoratore delle piantagioni cubane che ad un certo punto dice "io non voglio più lavorare".Quando ha fame, dice "datemi da mangiare." e glie lo danno. Lo Stato gli garantisce comunque i suoi bisogni.Potrebbe farlo? Se fosse così ben pochi cubani lavorerebbero... per tuti gli altri.

E allora la formula vera più o meno così:" Chiunque è costretto a lavorare secondo le sue possibilità e riceve secondo il suoi bisogni (se ce ne è, ma comunque per primi i vertici di partito)".

giovedì 20 novembre 2008

I vari tipi di conservatorismo

sabato 15 novembre 2008

Quelli che tengono all'università

Università Statale di Milano, via Festa del Perdono

venerdì 14 novembre 2008

Con L'America!!! Blogs against Russia

Con l'articolo "Con l'America o con Berlusconi?" su l'Occidentale
"
Finalmente negli si apre un serio dibattito sull'avicinamento con la Russia.

Mi sembra chiaro ed evidente che questa Russia non è come molti, in primis berlusconi la dipingono.
E' evidente che con metodi quantomeno mafiosi tenta di ristabilire la sua area di influenza perduta negli anni '90. La Russia crede di essere nel XIX secolo, gli Stati Uniti sono saldamente ancorati al tempo presente, mentre l'Europa crede di vivere un pacifico mondo post-moderno, governato da leggi e giustizia. Sarebbe bello. Sarà così solo quando tutte le nazioni del mondo saranno realmente democratiche. Cosa che è ben lontana.

La Russia è governata da una cricca politico-mafiosa che usa la violenza e le minacce sia all'interno che all'esterno. Il numero di giornalisti uccisi è incredibile, ma di più il silenzio che li ha circondati nella libera Europa occidentale, con una sola eccezione, la Politkovskaja.

Ha invaso la Georgia, minacciato la Polonia, intimidito i politici filo-occidentali dell'Europa orientale. Ha usato l'energia come arma per minacce. Collabora con l'Iran. Ha costruito la guerra in Cecenia per fini politici interni, conducendola come ai tempi dell'URSS in Afganistan.

E Berlusconi cosa fa? Vuole fare l'amicone della Russia? Diventare il primo partner commerciale di un paese dove dissentire è pericoloso
Prende per buona la versione Russia sull'aggressione alla Georgia?

E l'informazione di centro-destra che fa?
Il Giornale acconsente, altri per quel che ne so tacciono.
L'Occidentale almeno ha preso una posizione sensata, altrimenti si che sarebbe stato grave.

Almeno i blog si facciano sentire !!



mercoledì 12 novembre 2008

martedì 4 novembre 2008

Il pericolo trattativista

Il XX secolo ha dimostrato che l'essenza della diplomazia (nel caso di nazioni nemiche) è la trattativa fra nazioni ,che almeno per un momento fanno finta di essere eguali. Chiaramente non è così. Può essere per ragioni morali, economiche e politiche, gli attori in gioco pensano di essere “un po' meglio” dell'altro e per questo ricerca per se il massimo interesse. Questa è la realtà, il resto sono solo fumose chiacchiere che si raccontano i diplomatici, illudendosi con le loro stesse fesserie.

Ben pochi sono i casi in cui la trattativa ha portato a risultati soddisfacenti per entrambi, cioè nel caso che entrambi i contendenti siano ragionevoli, questo sia ha solo con democrazie liberali, forse un unica eccezione: la condivisione degli stessi interessi per far fronte ad un comune nemico.
Quando un regime non democratico cerca la pace, succede non solo sa di essere in uno stato di inferiorità, ma esplicita questo suo stato. Per la soddisfazione reciproca le due parti devono essere equilibrate, altrimenti la trattativa si trasforma in imposizione. Non ci sono molti casi in cui un nemico, grazie alla trattativa si trasforma in un soggetto non ostile, anzi non ce ne sono proprio. Sempre la trattativa, i colloqui ufficiali, sono venuti dopo un processo, per ufficializzare la pace.
E' questo il caso di Sadat che parlò alla Knesset nel 1977. Ma già prima non era più un “Nemico”. Mai altrimenti sarebbe andato a parlare a visitare il parlamento dell' ”entità sionista”. Come sarebbe stato possibile per un capo di governo parlare ad un parlamento di uno stato del quale non riconosceva l'esistenza?

Sono molti i casi nei quali con la trattativa si cerca di imbonire il nemico o addirittura renderlo amico, finiti nel disastro più totale.
Fondamentale è capire “Come mi vede l'altro?”. Se nei confronti di una nazione non democratica si cerca con perseveranza la trattativa, quindi il compromesso l'altro non potrà che vedere un segno di debolezza, crederà di essere in una posizione di superiorità e vantaggio. Perché scoprire il fianco, altrimenti? E se il nemico si mostra debole, approfittarne è d'obbligo. Qualche esempio?

Cominciamo dagli anni '30 dell'appeasement nei confronti dell'aggressività nazi-fascista. Ovvero come le democrazie europee permisero ad Hitler di iniziare la guerra nel momento e nella posizione più favorevole possibile. Nel 1935, Hitler violò gli obblighi del trattato di Versailles sul disarmo, l'ambasciatore Britannico volò a Berlino, ignorando la violazione e credendo che i problemi si risolvano da soli stipulò un nuovo trattato per limitare le forze navali. Si mise in una posizione di inferiorità ed ovviamente Hitler ne approfittò. Di lì a poco iniziò la costruzione della più grande e potente nave da battaglia che il mondo avesse mai visto: la Bismarck.
Quando Mussolini rese nota l'intenzione di conquistare l'Etiopia, il ministro degli esteri francese diede l'assenso, sperando di ottenere l'appoggio italiano contro la Germania; l'ambasciatore Britannico fu così solerte e servile nell'offrire una parte del Somaliland inglese, che convinse il Duce dell'irrimediabile decadenza politico-militare delle democrazie. L'anno successivo l'invasione dell'Etiopia si ebbe l'asse Roma-Berlino.

I famosi accordi di Monaco del 1938 non furono un incontro, ma ben tre, ciascuno convinse maggiormente Hitler che le democrazie occidentali erano disposte a qualsiasi concessione pur di evitare la guerra. E fu così che prese la Cecoslovacchia e successivamente la Polonia. Che motivo aveva di ritenere che Gran Bretagna e Francia erano disposte a “morire per Danzica”? La debolezza occidentale convinse poi Stalin a stipulare un patto con la Germania.
Come disse saggiamente Churchill: “Gran Bretagna e Francia potevano scegliere fra il disonore e la guerra. Hanno scelto il disonore. Avranno la guerra ”
Dopo la guerra nonostante avesse una nazione ed un esercito completamente stremati, Stalin fece credere il contrario e poté facilmente instaurare in Europa orientale una pletora di regimi fantoccio.Il conflitto con l'URSS si delineò naturalmente. La non chiarezza statunitense riguardo ai suoi interessi fece pensare che la Corea del Sud potesse essere invase senza temere reazioni.La stessa cosa si ebbe con il blocco di Berlino. Pensavano che l'occidente avrebbe facilmente gettato la spugna. Chissà dove avevano prese questa idea.
Nel primo incontro fra i capi di Stato USA-URSS dopo la guerra, nel '55 fece illudere di aver fatto il primo passo verso la pace. L'anno dopo, Kruscev con i carrarmati schiacciò nel sangue la rivoluzione ungherese. Lo stesso anno con la crisi di Suez, l'URSS minacciò usare armi atomiche contro Londra e Parigi.
Nel 1959 Kruscev fece visita in America, un altro “primo passo per la pace” tanta cordialità, ma I colloqui non portarono a nulla, se non alla decisione di indire un altro summit, che si aprì nel maggio del 1960 non ebbe alcun effetto. Un altro incontro si tenne a Vienna l'anno successivo fra il neoeletto Kennedy e Kruscev che promise che l'Unione sovietica non avrebbe effettuato test nucleari se altri paesi non l'avessero fatto a loro volta. Gli altri paesi non effettuarono alcun test. In ottobre I sovietici fecero esplodere una bomba da 58 megatoni, la più potente di tutti i tempi. Nel '62 ci fu la crisi dei Missili di Cuba. E' interessante notare come nelle sue memorie Kruscev si definì compiaciuto nel constatare che Kennedy cercasse ogni modo per appianare i conflitti fra le due potenze. Come si sentiva forte il leader sovietico, tanto che due anni dopo fece erigere il muro di Berlino. Un modo esemplare per appianare i conflitti e spianare la strada per la pace.

I colloqui fra Johnson e Kosygin nel 1967 anch'essi salutati con radiose speranze di pace furono il preludio alla repressione della primavera di Praga e all'offensiva comunista del Tet. Con Nixon e Breznev nel '72 si ebbero gli accordi di limitazione dei missili, a vantaggio sovietico.Si disse che era posta un altra “pietra miliare nel processo di pace”. L'anno dopo l'URSS armò Siria ed Egitto per l'attacca ad israele e minacciò di intervenire nel conflitto. Nel 1973 Kissinger e Le Duc Tho stabilirono il ritiro congiunto dal Vietnam del SudGli Americani si ritireranno, i nord-vietnamiti completarono la conquista del Sud. Creando la tragedia dei boat people, l'occupazione del Vietnam del sud ele successive repressioni portarono ad un numero di vittime le cui stime arrivano al milione. Entrambi vinsero il nobel per la pace. Mai premio per la pace fu tanto sudicio di sangue. Questi furono i grandiosi risultati della distensione.

Jimmy Carter nel '79, dopo aver assistito alla caduta di alcuno paesi sotto l'influenza sovietica, convinto che infondo l'Unione Sovietica (in posizione più favorevole che mai), volesse la pace, firmò un nuovo trattato di limitazione dei missili al termine del quale baciò e abbracciò appassionatamente uno stupito Breznev. Pochi mesi dopo l'URSS invase l'Afganistan.

Il conciliante Clinton nel '94 stipulò un accordo con la Corea del Nord per evitarne l'ottenimento dell'arma atomica. Cosa che ovviamnete non la fermò.

Venendo ai giorni nostri è importante riflettere su un disastro mancato, nel 2006 l'IRAQ STUDY GROUP consigliò un ritiro dall'Iraq contestualmente alla trattativa con Iran e Siria (che sostengono guerriglia e terrorismo nel paese), argomentando che a loro non sarebbe convenuta l'instabilità e la catastrofe umanitaria in Iraq. Considerando che loro ne sono i primi artefici, sono regimi, che , come l'Iran non esitò, durante la guerra con l'Iraq (1980) ad utilizzare migliaia di ragazzini martiri come carne da macello per bonificare i campi minati, dietro la promessa del paradiso. La Siria che per sedare una rivolta islamista di Hama, trucidò 36,000 suoi cittadini, stando al vanto di uno dei suoi mandanti. Chissà quanto glie ne importa dei cittadini Iracheni.

Ma Bush ha giocato la sua sultima risorsa politica nel “Surge” di Petreaus, sostenuto solo da McCain, che da tempo proponeva un intervento simile.
Se adesso la vittoria sembra a portata di mano, non è certo per la magnaminità di Iran e Siria, ne grazie ad Obama che al “surge” si è sempre opposto e ne ha denigrato e minimizzato i primi effetti, fino a che non ha potuto che riconoscere il suo funzionamento.

In definitiva, bisogna parlare con I propri nemici, ma quando già essi non sono più propensi ad esserlo, come già Sadat con Israele. “Non è parlando che si può convincere dei lupi a convivere con degli agnelli o a trasformarsi essi stessi in agnelli” . Bisogna considerare che I regimi messianici apocalittici come quello iraniano ragionano con categorie molto differenti da quelle laiche occidentali.
In genere i ragimi dittatoriali sono in guerra con i loro stessi cittadini, è illusorio credere alla pacificazione con uno straniero legittimandoli non si fa altro che prolungarne la vita, a danno a umiliazione dell'opposizione interna. Tutti I colloqui fatti con l'Iran non lo hanno spostato di un millimetro dalle sue ambizioni nucleari. Anzi l'hanno incoraggiato e convinto della debolezza dell'Occidente. Come diceva Teddy Roosvelt “Parla a bassa voce, ma porta con te un grosso randello: andrai lontano ”. Bisogna guardare la ruvida realtà e non i sogni; il linguaggio della forza è, purtroppo, il solo che certa gente è constretta ad intendere.

Bombardare le installazioni nucleari Iraniane è necessario, come ultima risorsa. L'unica soluzione per evitarlo non è inviare un altra volta Solana o la trattativa di Obama che porterebbe solo ad una ulteriore, inutile umiliazione occidentale, ma tentare di portare al massimo livello l'isolamento e l'embargo e sperare in una rivoluzione del popolo Iraniano che l'Occidente dovrà con vigore sostenere. Questo è il piano di McCain.

mercoledì 29 ottobre 2008

Il taglia e cuci da wikipedia

A pagina 6 de Il giornale, che pubblica un editoriale di Susanna Tamaro nel trafiletto che descrive in breve la scrittrice, un giornalista non proprio originale si è dato al taglia e cuci dalla pagina di wikipedia sulla Tamaro. Il punto è che le frasi estrapolate, parola per parola denotano ben poca correttezza, oltre che una bella faccia tosta. Si tratta di poche righe, che non avrebbero richiesto chissà quale sforzo di originalità.
Le frasi sono del tipo: "Susanna Tamaro nasce in una famiglia della buona borghesia triestina", "Nel 1978 colpita da un frase che legge su un muro di Ponte Sisto, a Roma [acquista un piccolo quaderno] e inizia a scrivere i primi racconti.", "riesce ad esordire nel mondo della letteratura con il suo primo romanzo[...]", "Nel 1990 esce sempre per Marsilio "''Per voce sola''"; il libro passa completamente inosservato, poi viene letto da Federico Fellini e da Alberto Moravia: i loro elogi pubblici lo portano improvvisamente in testa alle classifiche delle vendite."

In pratica non c'è nulla di originale. Non è grave certo, è però sconfontante vedere un giornalista con tanta solerzia nel copiare, neanche a sostituire una parola, giusto per non essere spudorati. Posso capire cercare informazioni su wikipedia, la fretta, il direttore che dice "preparami subito il pezzo".

lunedì 27 ottobre 2008

La gente sana

Stamane nel chiostro della Statale (di Milano) c'erano due di sinistra che sotto il cartellone "Occupiamoci dell'università" (altre volte inteso come occupiamo e basta), si sono messi a raccogliere i mozziconi di sigarette di circa 10 mq, raccogliendone due bei sacchetti pieni. Questo solo per far notare di quando sia sozzo il chiostro. Poi hanno fatto delle foto e appeso un cartello per invitare alla civiltà.

Solitamente le sigarette le metto negli "insufficienti" posacenere, ma altre, come tutti, le ho tranquillamente buttate a terra. Credo che non lo farò più.
Riflettendoci è un chiostro del'400, di prima della scoperta dell'America.
Certo, c'è chi ci gioca a che a palla...

Ho parlato con loro, li ho ringraziati ed elogiati. Non li ho aiutati, un po' perché sono ipocrita, ma il farlo, solo un quel momento mi sarebbe sembrato ancora più ipocrita.

Le contrapposizioni ideologiche del muro contro muro, sono spesso una cosa inutile e stupida.

Oggi Azione Universitaria ha organizzato un dibattito per parlare dal loro punto di vista della riforma, degli sprechi, delle loro riserve, dubbi e così via. Quelli di Sinistra Universitaria sono intervenuti per dire la loro, (a volte con un pochino di arroganza, credo), ma hanno parlato per molti abbondanti minuti, senza un fischio o contestazione. Certo, ogni tanto interrompevano il discorso di quelli di AU, ma la cosa è stata molto civile e democratica.
Non posso non notare che una cosa del genere in una analoga manifestazione di sinistra non sarebbe potuta succedere.

Mercoledì scorso c'era un banchetto dei giovani del PDL a sostegno della Gelmimi. La questura, evidentemente a pensato bene di mandare qualche poliziotto a vigilare, ed è stato un bene. Un po' di insulti e cose poco gentili, sul fato che quella sarebbe una provocazione. Un normale esercizio di democrazia, secondo me. Se la fa la sinistra è un sacrosanto diritto (come è), se lo fa la destra, è una provocazione.
Ad un certo punto una ragazza dei collettivi(?) ha iniziato ad urlare, dicendo che lei era una moderata, ma se ci fossero stati i sui amici, quello del PDL avrebbero ricevuto le mazzate che meritavano. Minacce insomma. Per quella gente era assolutamente intollerabile che ci fosse quella piccola manifestazione. Non aveva alcun senso. Come se a qualcuno del centro-destra fosse mai venuto in mente una cosa del genere a parti invertire.

Ne ho parlato con un mio amico del PD, di Sinistra, ma moderato. Per lui era una posizione idiota e inconcepibile quella presa dai contestatori del piccolo banchetto. Come inutile, stupida e controproducente il tentativo,pratica eversivo di invadere i binari della stazione Cadorna (la gente va anche a lavorare...)

Morale, esiste da entrambe le parti gente ragionevole, che pur fieri avversari in campo opposto non sopporta gli estremismi.

Bisognerebbe unire i diversi, quelli che si rispettano, per isolare i facinorosi.
Il mondo è pieno di gente sana, non dimentichiamolo.

giovedì 23 ottobre 2008

martedì 21 ottobre 2008

Lo spot di mezz'ora di Obama è inutile

Uno spot di mezz'ora prima delle elezioni sui più importanti Network, credo che non serva a molto, soprattutto se paragonata ai costi.

In mezz'ora la gente cambia canale. Rischia di diventare una autocelebrazione eccessiva. Se denigra McCain, potrebbe essere vista come una cosa veramente di pessimo gusto, un colpo basso.
Gli Obamiani lo guarderanno mangiando pop corn , ma gli idecisi non so se saranno dispoti a sorbirselo tutto. Non conosco l'americano medio, ma una cosa del genere potrebbe essere vista come arroganza.

Se è tutta celebrativa fara vomitare.
Se è tutta contro farà schifare.
Sarà certamente un mix, di tutto di più, con sorprese a non finire.
Ma è troppo lunga, al massimo poteva fare 10 minuti.
A mio modesto parere rischia di essere controproducente. Meglio così.

mercoledì 1 ottobre 2008

Sull'emergenza immigrati - di Carlo Panella

Segnatevela, perchè Panella è molto bravo nelle esposizioni e ci azzecca quasi sempre.


Ormai la cadenza è settimanale: a Milano i funerali del povero Abdoul si trasformano in un violento corteo di africani; a Caserta il corteo degli immigrati dopo la strage del clan dei Casalesi devasta tutto sul suo cammino (e la polizia lascia fare); a Parma, dopo la foto della prostituta di colore abbandonata seminuda per terra in una cella, il giovane ghanese Emmanuel denuncia “occhiato e insultato come negro” (ma i vigili negano). Chi conosce appena un poco il nostro paese, chi sa valutare l’irresponsabile uso mediatico di questi fatti da parte di un mondo giornalistico che tutto fa per enfatizzare l’immagine di un Italia razzista per colpa di Berlusconi, sa bene ccome andrà a finire: da qui a poco il ritmo si farà più stretto e inizierà l’incendio: le ronde si moltiplicheranno, gli immigrati reagiranno e succederà qualcosa di drammatico.
Data all’irresponsabilità dei media politically correct tutto il peso che ha, fatta anche la tara su accuse di razzismo spesso da loro inventate (clamoroso il caso del povero Abdoul, per la cui uccisione il Pm nega esista qualsiasi motivazione razzista), è però venuto il momenti di riconoscere che le politiche sull’immigrazione messe in atto dal governo sono insufficienti, non convincono o, molto più semplicemente, non governano minimamente il fenomeno.
Per fare un esempio: in Inghilterra il laburista Brown sta facendo approvare a Westminster un Immigration Bill che vieta l’ingresso a immigrati senza qualificazione e istituisce un Migration Impact Forum costituito da parlamentari per monitorare le aree di crisi nel tessuto urbano provocato dagll’eccessiva concentrazione di emigrati; in Spagna il socialista Zapatero sta facendo approvare dalle Cortes una legge che incentiva il ritorno a casa degli immigrati; in Germania, da mesi il governo proibisce l’ingresso di immigrati se non con elevatissima qualificazione professionale (dal diploma in su); in Francia, Sarkozy ha istituito da un anno un Ministère de l’Immigration che accorpa tutte le deleghe sparse –come in Italia- su 4 ministeri e quindi ingovernate.
In Italia, invece, con una scelta incomprensibile, il Pdl ha totalmente delegato alla Lega la gestione governativa del fenomeno e la Lega la esercita –senza ricordarsi il suo non piccolo patrimonio di elaborazione sul tema- solo e unicamente sul fronte dei clandestini e dell’ordine pubblico, affidandone la gestione al solo Ministro degli Interni Roberto Maroni, che ovviamente agisce come può, cioè sul versante repressivo.
Ma l’abisso tra il dibattito e l’elaborazione legislativa che separa l’Italia dagli altri paesi dimostrano che questa è una scelta semplicemente sciagurata e la cronaca, come s’è detto, si incarica –inascoltata- di dimostrare fino a che punto lo sia.
La cosa più strana, peraltro, è che questa politica solo centrata sul versante repressivo del fenomeno dei clandestini –ovviamente indispensabile- e totalmente latitante sul fenomeno riformista del modello di integrazione degli immigrati regolari (tutti i protagonisti dei fatti di cronaca più drammatici hanno il permesso di soggiorno) non solo tradisce in pieno la vocazione liberale del Pdl, ma lo espone anche ad una crescente frizione con la Chiesa.
Sappiamo benissimo chi è don Sciortino di Famiglia Cristiana e conosciamo la sua politica cinica di marketing, e quindi valutiamo per il nulla che sono le sue critiche di razzismo, ma ormai il Pdl deve prendere atto che contro questa sua politica zoppa nei confronti dell’integrazione degli immigrati non si muove solo la propaganda dell’opposizione (peraltro portatrice con Pd di un demenziale e articolato progetto di italianizzazione di tutti gli immigrati) ma si è ormai mosso il pontefice in persona (col discorso sull’accoglienza insufficiente del 17 agosto), e che l’altra settimana è partito all’attacco del governo addirittura l’Osservatore Romano, e non è stato un segnale gradevole per il Pdl, per il suo ruolo e ancor più per la personalità equilibratissima e al di sopra di ogni sospetto politico del suo direttore Giovanni Maria Vian.
Ma non succede nulla, o quasi, e questo è un gran brutto segnale per un partito che si sta formando e che ancora dimostra una sua straordinaria cecità nei confronti dell’emergere di una drammatica, evidente, crisi sociale.
A dire il vero, qualche settore del Pdl, ha una forte sensibilità sul tema, ne capisce l’urgenza e però ha ancora troppo debole capacità di incidere. Su impulso della presidenza del gruppo parlamentare del Pdl, infatti, la prima commissione del Senato ha deliberato di organizzare un comitato d’indagine sull’emergenza abitativa e sociale determinata dal caotico concentramento di immigrati nel cuore del centro storico delle città e cittadine d’Italia. Ma è un’iniziativa tanto meritoria, quanto ancora insufficiente, che non regge il confronto con lo straordinario impegno preso dal Parlamento inglese con il suo Migration Impact Forum, che dà il segno di una classe dirigente britannica che –a differenza di quella italiana- ha piena comprensione della rilevanza strategica del tema.

lunedì 29 settembre 2008

L'Unità "omicida"? Ferrara aveva ragione


Una volta Ferrara disse, riferendosi all'Unità ": «No, no, non è un giornale libero, credo che l'unico modo di definirlo è un foglio tendenzialmente omicida!»". Aveva ragione.

La vignetta di Bian, apparsa sull'inserto dell'Unità è un po' inquietante, sicuramente di pessimo gusto. Io non dico che qualcuno si potrebbe ispirare, però... Questa va decisamente oltre.
Di vignetta su Brunetta ne ho viste tante (ho visto quelle del concorso), questa vince il premio per la più idiota.
Per non dire peggio.

martedì 23 settembre 2008

Iran? No, Italia...

Due gay si baciano i pubblico. Denunciati, sono rinviati a giudizio. Accusati di aver fatto un vero e prorpio atto sessuale(nello specifico orale), sostengono che invece era un bacio e chiamano a testimone le videocamere pubbliche.
Se la cosa possa essere considerata scandalosa, ogni madre ha il diritto di coprire gli occhi di suo figlio.
Se il gesto è solo un bacio, lo Stato dovrebbe fottersene. Ma sono gay, e si sa, il codice Rocco parla chiaro...
Oppure è il codice penale Mahmud?



(Perchè ho come la sensazione che se invece che maschi fossero state due ragazze, non ci sarebbe stata nessuna denuncia?)

lunedì 22 settembre 2008

Nixon batte Kennedy per i diritti civili

Una cosa che non vi hanno detto, e che nessuno mai dirà, è che nelle elezioni presidenziali, uno dei fattori che portarono alla sconfitta di Nixon contro Kennedy furono i diritti civili.

Nixon fece uno spot dove prometteva diritti civili eguali per tutti per tutti, senza compromessi e in maniera molto esplicita.
Questo gli alienò i consensi degli stati del Sud, e perse le elezioni per pochissimo.

Kennedy è considerato dagli europei il campione dei diritti civili, ma durante gli anni della sua presidenza non fece passare la legge contro la segregazione, approvata da Lyndon Johnson nel 1964.

martedì 16 settembre 2008

Il più grande ministro della difesa della storia d'Italia

Ho potuto vedere solo ora, in differita l'intervento di Antonio Martino a Gubbio, durante il dibattito Con Fiamma Nirenstein, Margherita Boniver e Mario Sechi.
L'ultimo pezzo di Martino è eccezionale e da incorniciare. (appena ho tempo ne trascriverò un pezzo)
Bisogna ricordare che Martino ha dovuto affontare la maggiore crisi della storia repubblicana. Egregiamente. Nel 2013, quando si voterà avrà71 anni, tanti quando Berlusconi oggi.
Spero che giungerà il momento per dire Martino presidente.

Bè, lasciatemi sperare, no?
(in alternativa, ministro dell'economia va benissimo)

lunedì 15 settembre 2008

Con la Russia possiamo fare la faccia dura.

Riguardo all'energia con la Russia, il manico del coltello lo stiamo tenendo noi e non lo sappiamo.
La faccia dura dell'Orso ci ha fatto credere(a noi europei) di essere in posizione di debolezza, di tenere la lema con due dita tremolanti.
A mio modesto parere le cose stanno diversamente.

Mentre i paesi europei con sforzi e costi (nucleari, altri approvvigionamenti, e nuove tecnologie) possiamo renderci indipendenti da Mosca a livello energetico, un mercato come quello europeo, la Russia non lo trova da nessuna parte.
In definitiva, per noi un embargo sarebbe un un ulteriore aggravio economico, ma per la Russia sarebbe una catastrofe.

Se fosse una domocrazia, la soluzione si presenterebbe da sola. Ma Anche un sistema autoritario come quello Russo deve fare i conti, prima o poi con l'opinione pubblica, o se preferite, con l'enorme pressione di un popolo immiserito.

All'Europa manca una sola cosa: le P*LLE.

mercoledì 10 settembre 2008

Solidarietà a Sabina Guzzanti. Basta col medioevo.

Sabina Guzzanti ha sfottuto il Papa.
E' stata indagata dalla procura per questo.
Il Papa l'ha querelata?
Non credo proprio.

L'inquisizione in Italia è finita da un pezzo e Calderoli dovrebbe, nella sua semplificazione legislativa abrogare quella legge idiota e medioevale di vilipendio.

Questo è un caso di libertà di espressione, la Guzzanti non a usato/abusato la televisione pubblica. Se qualcuno si è sentito offeso, che gli mandi pure infuocate lettere di protesta.

Finiamola con queste assurde leggi dal retaggio fascista. Finiamola con i rimasugli di medioevo. Con che faccia potremo difendere la libertà di espressione del prossimo vignettista che sfotte Maometto& company?

giovedì 4 settembre 2008

Reborn

Dopo una lunga assenza dovuta alla rottura del PC, sono di nuovo "operativo".

giovedì 22 maggio 2008

Un governo contro la mafia

Si inzia bene, anzi, meglio.

Questa non è semplicenmtne la continuazione del lavoro 2001-2006. Berlusconi credo sia perfettamente consapevole dei limiti del suo precedente governo. Non era solo una faccenda si alleati e alleanze.

Diciamo che due anni di opposizione hanno fatto bene al desiderio riformatore.
Poi c'è un altro fattore fondamentale. Berlusconi ha 72 anni e questa è la sua ultima esperienza di governo. L'ultima possibilità di passare alla Storia. C'è già, ma c'è modo e modo, vuole essere ricordato come grande rifomatore, da tutti, non solo da una parte.

Si inizia bene, con scelte secce e nette. E anche dei provvedimenti contro la mafia, 8 norme su 30 trattate sin dal primo consiglio dei ministri, fra cui,

  • Confisca dei beni mafiosi più facile. Si conferisce ai prefetti la competenza ad assegnare i beni confiscati alla mafia.
  • Viene vietata la possibilità di patteggiare in appello per i reati di mafia.
  • Facilitata la distriuzione delle merci contraffate, sulle quelli la mafia fa affari.
  • Attribuita al Procuratore della Repubblica ed al direttore della
    Direzione investigativa antimafia il potere di proporre l'adozione delle
    misure di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza e
    dell'obbligo di soggiorno nel comune di residenza o di dimora abituale.

Maroni ha affermato che le norme per la lotta alla mafia “ sono ispirate alle norme a suo tempo suggerite dal giudice Giovanni Falcone e mai applicate da nessun governo, neppure di centrosinistra [...]Penso ad esempio alla norma che prevede la confisca dei beni mafiosi a prescindere dalla pericolosita’ del soggetto. Noi prevediamo che questi beni, una volta confiscati, non potranno mai essere restituiti, neppure in presenza della morte del mafioso. Quindi i suoi eredi, familiari o meno, non potranno subentrare nella titolarita’ dei beni confiscati”.

Non solo, Schifani, ha lanciato un appello ai gruppi parlamentari affinché rendano, con iniziative condivise, "ancora più aggressive e incisive" le misure contenute nel pacchetto sicurezza per contrastare i patrimoni mafiosi.

Ed è solo il primo consiglio dei ministri. Cosa diceva Travaglio?

mercoledì 21 maggio 2008

Arrestato il vignettista sul profeta, sfottuto il cattolico.

Un articolo de L'Occidentale.
l'autore non lo so, dato che non c'è scritto.
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In Olanda la polizia ha fatto irruzione nella casa del disegnatore Gregorius Nekchot e lo ha trascinato in galera per alcune vignette ritenute offensive dell'Islam. Persino il direttore del suo giornale ha dato l'avallo all'arresto. La denuncia era partita da un olandese convertito alla religione musulmana.

Né in Olanda né nel resto d'Europa si è sollevata una sola critica a questo provvedimento.

Strano perché di solilto gli autori di satira sono piuttosto solidali tra loro e quando qualche governo fa la voce grossa (vedi i casi italiani della Guzzanti, di Luttazzi o di altri) scatta subito la difesa d'uffico al grido "la satira non si tocca". In Olanda non solo si tocca ma si sbatte in galera e tutti tacciono.

Nello stesso momento, invece, in tutta Europa ci si sente completamente liberi di maltrattare, insultare, deridere la religione cattolica e i suoi simboli e se solo qualcuno alzasse il dito per protestare gli verrebbe tagliato con l'accusa imfamante di censore.

La foto che pubblichiamo l'abbiamo trovata per caso su Repubblica.it, faceva parte del reportage di una sfilata di moda in Austria dove si presentava la collezione di un noto produttore di lingerie inglese, Agent Provocateur. Ognuno è libero di scegliersi le mutande che vuole e anche di mostrarle in pubblico, non si capisce però la ragione di mettere due modelle in guèpiere che trascinano in catene un finto cardinale(in realtà un Papa, dato che veste di bianco. NDR).

Forse non c'è una ragione, è solo routine di cui nessuno più si scandalizza: potevano scegliere un cardinale, un cavallo, una valkiria in motocicletta, un gregge di pecore: tutta la stessa pappa frutto del genio di qualche organizzatore di eventi. Di certo però nessuno si sarebbe azzardato a mettere in passerella, non dico un finto profeta ma neppure un imam o un ayatollah.

Invece a prendersela con i preti non si rischia nulla, neppure un po' di biasimo: anzi si passa per gente dalla mente libera e coraggiosa. Così non ci si accorge che a poco a poco ci stiamo costruendo la nostra stessa galera.

venerdì 16 maggio 2008

Bush alla Knesset: Masada non cadra più

Discorso di Bush alla Knesset, riportato da IlFOGLIO.
Berlusconi non c'è potuto andare perchè doveva essere in parlamento per la fiducia, speriamo ci vada presto.

Un discorso stupendo.

Da Il FOGLIO del 16 maggio 2008

Shalom. Tornare in Israele è, per me e mia moglie Laura, un’enorme emozione. Le celebrazioni degli ultimi due giorni ci hanno profondamente commosso. E questo pomeriggio sono onorato di presenziare a una delle maggiori assemblee democratiche al mondo e portare il saluto di tutto il popolo americano. Prendere la parola alla Knesset è per un presidente americano un privilegio raro, anche se il primo ministro (Ehud Olmert, ndr) mi ha confessato che ancora più raro, in questa Camera, è che prenda la parola una sola persona alla volta. Il mio unico rammarico è che uno dei più grandi leader israeliani non sia qui a condividere questo momento. E’ un valoroso guerriero, un messaggero di pace e un caro amico. Tutti gli americani sono vicini con la preghiera ad Ariel Sharon. Ci ritroviamo oggi qui riuniti per celebrare un evento straordinario. Sessanta anni fa, a Tel Aviv, David Ben Gurion proclamava l’indipendenza di Israele sulla base del “diritto naturale del popolo ebraico a poter disporre del proprio destino”. Quel che ne è seguito va ben oltre la fondazione di un nuovo stato. Si è trattato del riscatto di un’antica promessa fatta ad Abramo, Mosè e Davide, quella di una patria per il popolo eletto nella Eretz Ysrael. Undici minuti dopo quella proclamazione, su disposizione del presidente Harry Truman, gli Stati Uniti ebbero l’onore di essere la prima nazione a riconoscere l’indipendenza di Israele. E oggi, in occasione di questo storico anniversario, l’America rivendica con fierezza il ruolo di principale alleato di Israele e suo migliore amico. L’alleanza tra i nostri governi non può essere in alcun modo scalfita; tuttavia, la nostra amicizia vanta radici più solide e profonde di qualsiasi trattato. Si basa sullo spirito comune ai nostri popoli, sul vincolo del Libro, sui legami dell’anima. Quando William Bradford scese dal Mayflower, nel 1620, citò le parole di Geremia: “Venite, raccontiamo in Sion l’opera del Signore nostro Dio”. I padri fondatori del mio paese videro una nuova terra promessa e omaggiarono le loro città di nomi come Bethlehem e New Canaan. E, col passare del tempo, numerosi americani sono divenuti ferventi sostenitori dello stato ebraico. Secoli di sofferenze e sacrifici sono dovuti passare prima che questo sogno si potesse realizzare. Il popolo ebraico ha patito l’agonia dei pogrom, la tragedia della Grande guerra e l’orrore dell’Olocausto, che Elie Wiesel definisce il “regno della notte”. Uomini senz’anima annientarono vite e spezzarono famiglie. Non riuscirono, però, a soppiantare lo spirito del popolo ebraico, né a infrangere la promessa di Dio. Quando si ebbe finalmente notizia dell’indipendenza di Israele, Golda Meir, una donna coraggiosa cresciuta nel Wisconsin, non poté far altro che piangere. Soltanto in seguito disse: “Per duemila anni abbiamo atteso la nostra liberazione. Ora che l’abbiamo ottenuta, la gioia è cosi grande e meravigliosa da trascendere le parole umane”. La gioia dell’indipendenza fu stemperata dallo scoppio di nuovi conflitti, di una guerra che si protrae da sei decenni. Eppure, nonostante le violenze, e a dispetto di qualsiasi minaccia, Israele ha saputo costruire una fiorente democrazia nel cuore della Terra Santa. Avete accolto nel vostro paese immigrati provenienti da ogni angolo della terra. Avete forgiato una società libera e moderna, ispirata all’amore per la libertà, la passione per la giustizia e il rispetto della dignità umana. Vi siete instancabilmente adoperati per la pace. E avete valorosamente combattuto per la libertà. L’ammirazione del mio paese verso Israele, però, non si limita a tutto ciò. Per mia grande fortuna, ho potuto vedere da vicino il carattere di Israele. Ho potuto toccare il Muro occidentale, ammirare i riflessi del sole sul Mar di Galilea e pregare nello Yad Vashem. Questa mattina ho visitato Masada, un suggestivo monumento al coraggio e al sacrificio. Proprio qui i soldati israeliani prestarono un giuramento: “Masada non cadrà più”. E oggi io dico a voi, cittadini di Israele: Masada non cadrà più, e l’America starà sempre al vostro fianco. La nostra alleanza sarà guidata da chiari principi e comuni convinzioni radicate nell’onestà morale e non condizionabili dai sondaggi di popolarità o dalle opinioni in voga tra le élite internazionali. Crediamo nell’incommensurabile valore di ogni uomo, donna e bambino. Per tale ragione insistiamo affinché il popolo israeliano abbia il diritto a una vita normale, pacifica e dignitosa, come i cittadini di qualsiasi altra nazione. Crediamo che la democrazia rappresenti l’unica via per la garanzia dei diritti umani. Per questo riteniamo vergognoso il fatto che le risoluzioni sui diritti umani approvate dall’Onu colpiscano la democrazia più libera del medio oriente più di qualsiasi altro paese al mondo. Crediamo che la libertà religiosa sia un principio fondamentale nella società civile. Per questo condanniamo l’antisemitismo in tutte le sue forme, sia in coloro che mettono apertamente in discussione il diritto di Israele all’esistenza, sia in coloro che si limitano a giustificare tale atteggiamento. Crediamo che i popoli liberi debbano battersi e sacrificarsi per la pace. Per questo plaudiamo alle scelte coraggiose compiute dai leader israeliani. Crediamo anche che le nazioni abbiano il diritto di difendere se stesse, e che nessun popolo debba mai essere costretto a negoziare con assassini votati alla sua distruzione. Crediamo che trasformare vite innocenti in un bersaglio sull’altare di obiettivi politici sia sempre e ovunque sbagliato. Per questo combattiamo assieme contro il terrorismo e non abbasseremo mai la guardia né perderemo la nostra determinazione. La lotta contro il terrore e l’estremismo è la sfida decisiva della nostra era. E’ molto di più che uno scontro bellico: si tratta di uno scontro tra visioni opposte, e di una grande battaglia ideologica. Da una parte, c’è chi difende gli ideali di giustizia e dignità con il potere della ragione e della verità. Dall’altra, quanti coltivano una visione angusta ispirata all’insegna della crudeltà e del controllo attraverso gli spargimenti di sangue, l’incitazione alla paura e la diffusione della menzogna. E’ una lotta che si combatte con le tecnologie del Ventunesimo secolo, ma è un’antica battaglia tra il bene e il male. Gli assassini si nascondono sotto il mantello dell’islam, ma non sono individui religiosi. Chi compie questi atti barbarici è mosso da un unico e misero obiettivo: la sete di potere. Non accetta alcun Dio sopra di sé, e riserva un odio particolare ai più ferventi difensori della libertà, quindi anche agli americani e agli israeliani. Ecco perché nella carta costitutiva di Hamas si invoca l’“eliminazione” di Israele. Ecco perché i seguaci di Hezbollah inneggiano “Morte a Israele, Morte all’America!”. Ecco perché Osama bin Laden insegna che “l’uccisione degli ebrei e degli americani è uno dei compiti più importanti”. Ecco, infine, perché il presidente iraniano sogna il ritorno del medio oriente al Medioevo, e invoca la cancellazione di Israele dalla faccia della terra. C’è gente sincera e di valore che non riesce a distinguere l’odio cieco di cui questi uomini sono avvolti, e tenta in ogni modo di farsi una ragione delle loro parole. Tutto ciò è naturale. Ma è fatalmente sbagliato. Da testimoni del male perpetrato in passato, abbiamo la solenne responsabilità di prendere sul serio questi proclami. Alcuni sembrano credere che dovremmo negoziare con i terroristi e i radicali, come se una qualche ingegnosa argomentazione potesse persuaderli di essere sempre stati in errore. Abbiamo già sentito la stessa stolida illusione in passato. Nel 1939, quando i carri armati tedeschi invasero la Polonia, un senatore americano dichiarò: “Signore, se solo avessi potuto parlare con Hitler, avremmo potuto evitare tutto questo”. Abbiamo il dovere di chiamare le cose con il loro nome: quello era il falso conforto che viene dall’arrendevolezza, di cui più volte la storia ci ha insegnato a diffidare. Qualcuno sostiene che se gli Stati Uniti, semplicemente, interrompessero i rapporti con Israele, tutti i nostri problemi in medio oriente scomparirebbero. E’ una tesi ormai logora, che casca nella propaganda dei nostri nemici e che l’America rifiuta nel modo più assoluto. La popolazione d’Israele può anche essere poco più di 7 milioni di persone, ma quando deve difendersi dal terrorismo e dal male, il vostro paese è forte di 307 milioni di persone, perché l’America vi è accanto. L’America è al vostro fianco per stroncare le reti dei terroristi e impedire ai nemici di trovare riparo. E’ al vostro fianco perché si oppone alle ambizioni militari nucleari dell’Iran. Permettere ai principali sostenitori mondiali del terrorismo di entrare in possesso delle armi più mortali che esistano rappresenterebbe un imperdonabile tradimento delle generazioni future. Se vuole la pace, il mondo non può permettere all’Iran di disporre di armi nucleari. Per avere la meglio in questa battaglia, dobbiamo offrire un’alternativa all’ideologia degli estremisti espandendo in altri luoghi la nostra visione della giustizia e della tolleranza, della libertà e della speranza. Questi valori sono ovviamente diritto di tutti, di tutte le religioni, in tutto il mondo, perché sono un dono di Dio onnipotente. Garantire questi diritti è il mondo migliore di salvaguardare la pace. Le società in cui i cittadini possono esprimere la propria coscienza e venerare il proprio Dio non esportano violenza, ma si uniscono per raggiungere la pace. Non c’è luogo al mondo dove tale opera sia più urgente che qui, in medio oriente. Dobbiamo stare al fianco dei riformatori che operano per rompere vecchi ordini fondati sulla tirannia e la disperazione. Dobbiamo dare voce ai milioni di persone normali che sognano una vita migliore nella pace. Dobbiamo opporci al relativismo morale che pensa che tutte le forme di governo siano ugualmente accettabili e così facendo consegna intere società alla schiavitù. Soprattutto, dobbiamo avere fede nei nostri valori e in noi stessi, e perseguire con fiducia l’espansione della libertà, lungo un cammino che porterà a un futuro di pace. Quel futuro sarà profondamente diverso dal medio oriente di oggi. Allora, mentre festeggiamo i 60 anni dalla fondazione di Israele, proviamo a immaginare come sarà questa regione del mondo da qui a 60 anni. E’ una visione che non si realizzerà facilmente, né con pochi sforzi, e troverà una violenta resistenza da parte dei nostri amici. Ma se noi persevereremo nella nostra determinazione e avremo fiducia nei nostri ideali, ecco il medio oriente di domani: Israele starà festeggiando i suoi 120 anni e sarà una delle grandi democrazie del mondo, patria sicura e fiorente del popolo ebreo. Il popolo palestinese avrà la patria che da tanto tempo sogna e merita: uno stato democratico in cui vige la legge, che rispetta i diritti umani e rifiuta il terrorismo. Dal Cairo a Riad, a Baghdad e Beirut, tutti vivranno in società libere e indipendenti, in cui il desiderio di pace sarà cementato dai legami della diplomazia, del turismo e del commercio. Iran e Siria saranno nazioni pacifiche, dove lo stato d’oppressione in cui oggi vive la popolazione sarà un ricordo lontano e tutti saranno liberi di dire ciò che pensano e sviluppare il proprio talento. Al Qaida, Hezbollah e Hamas saranno stati sconfitti e i musulmani di tutta la regione avranno compreso quanto sia vuoto di significato il progetto dei terroristi e quanto ingiusta la loro causa. Il che non significa che Israele e i suoi vicini saranno grandi amici. Ma quando i politici di tutta la regione saranno responsabili delle proprie azioni, concentreranno le loro energie sulla scuola e sul lavoro, non sugli attacchi missilistici e sugli attentati suicidi. Con questi cambiamenti, Israele aprirà un nuovo capitolo colmo di speranze, in cui il suo popolo potrà vivere una vita normale, e il sogno di Herzl e dei fondatori del 1948 potrà finalmente essere realizzato. Si tratta di un progetto audace, e qualcuno dirà che non sarà mai possibile tradurlo in realtà. Ma pensiamo a quanto abbiamo visto nel nostro tempo. Quando i piloti giapponesi si lanciavano in missioni suicide contro le navi americane, sembrava impossibile che 60 anni dopo il Giappone sarebbe stato una democrazia, un cardine della sicurezza in Asia e uno dei più stretti amici dell’America. E quando intere ondate di rifugiati giunsero qui nel deserto senza niente, circondati da eserciti ostili, era quasi inimmaginabile che Israele sarebbe diventato uno dei paesi più liberi e prosperi del mondo. Eppure ognuna di queste trasformazioni c’è stata davvero. Un futuro di trasformazioni è possibile anche per il medio oriente, a patto che nasca una uova generazione di guide politiche che abbia il coraggio di sconfiggere i nemici della libertà, di fare quelle scelte difficili necessarie per raggiungere la pace e di rimanere aggrappata alla roccia ferma dei valori universali. Sessanta anni fa, all’alba dell’indipendenza d’Israele, gli ultimi soldati inglesi in partenza da Gerusalemme si fermarono presso un edificio nel quartiere ebraico della Città Vecchia. Un ufficiale bussò alla porta e incontrò un importante rabbino; gli regalò una barra di ferro, la chiave delle porte di Sion, dicendo che era la prima volta in 18 secoli che la chiave delle porte di Gerusalemme apparteneva a un ebreo. Con le mani tremanti, il rabbino innalzò a Dio una preghiera di ringraziamento, perché “ci ha dato la vita e ci ha permesso di giungere a questo giorno”. Poi si rivolse all’ufficiale e pronunciò le parole che gli ebrei attendevano da lunghissimo tempo: “Accetto questa chiave nel nome del mio popolo”. Negli ultimi 60 anni, il popolo ebreo ha creato uno stato che avrebbe reso fiero quell’umile rabbino. Avete fatto crescere una società moderna nella terra promessa, una luce per le nazioni che custodisce l’eredità di Abramo, Isacco e Giacobbe. E avete costruito una democrazia forte, che durerà per sempre e che sempre potrà contare sul sostegno dell’America. Che Dio benedica Israele.