Discorso di Bush alla Knesset, riportato da IlFOGLIO.
Berlusconi non c'è potuto andare perchè doveva essere in parlamento per la fiducia, speriamo ci vada presto.
Un discorso stupendo.
Da Il FOGLIO del 16 maggio 2008
Shalom. Tornare in Israele è, per me e mia moglie Laura, un’enorme emozione. Le celebrazioni degli ultimi due giorni ci hanno profondamente commosso. E questo pomeriggio sono onorato di presenziare a una delle maggiori assemblee democratiche al mondo e portare il saluto di tutto il popolo americano. Prendere la parola alla Knesset è per un presidente americano un privilegio raro, anche se il primo ministro (Ehud Olmert, ndr) mi ha confessato che ancora più raro, in questa Camera, è che prenda la parola una sola persona alla volta. Il mio unico rammarico è che uno dei più grandi leader israeliani non sia qui a condividere questo momento. E’ un valoroso guerriero, un messaggero di pace e un caro amico. Tutti gli americani sono vicini con la preghiera ad Ariel Sharon. Ci ritroviamo oggi qui riuniti per celebrare un evento straordinario. Sessanta anni fa, a Tel Aviv, David Ben Gurion proclamava l’indipendenza di Israele sulla base del “diritto naturale del popolo ebraico a poter disporre del proprio destino”. Quel che ne è seguito va ben oltre la fondazione di un nuovo stato. Si è trattato del riscatto di un’antica promessa fatta ad Abramo, Mosè e Davide, quella di una patria per il popolo eletto nella Eretz Ysrael. Undici minuti dopo quella proclamazione, su disposizione del presidente Harry Truman, gli Stati Uniti ebbero l’onore di essere la prima nazione a riconoscere l’indipendenza di Israele. E oggi, in occasione di questo storico anniversario, l’America rivendica con fierezza il ruolo di principale alleato di Israele e suo migliore amico. L’alleanza tra i nostri governi non può essere in alcun modo scalfita; tuttavia, la nostra amicizia vanta radici più solide e profonde di qualsiasi trattato. Si basa sullo spirito comune ai nostri popoli, sul vincolo del Libro, sui legami dell’anima. Quando William Bradford scese dal Mayflower, nel 1620, citò le parole di Geremia: “Venite, raccontiamo in Sion l’opera del Signore nostro Dio”. I padri fondatori del mio paese videro una nuova terra promessa e omaggiarono le loro città di nomi come Bethlehem e New Canaan. E, col passare del tempo, numerosi americani sono divenuti ferventi sostenitori dello stato ebraico. Secoli di sofferenze e sacrifici sono dovuti passare prima che questo sogno si potesse realizzare. Il popolo ebraico ha patito l’agonia dei pogrom, la tragedia della Grande guerra e l’orrore dell’Olocausto, che Elie Wiesel definisce il “regno della notte”. Uomini senz’anima annientarono vite e spezzarono famiglie. Non riuscirono, però, a soppiantare lo spirito del popolo ebraico, né a infrangere la promessa di Dio. Quando si ebbe finalmente notizia dell’indipendenza di Israele, Golda Meir, una donna coraggiosa cresciuta nel Wisconsin, non poté far altro che piangere. Soltanto in seguito disse: “Per duemila anni abbiamo atteso la nostra liberazione. Ora che l’abbiamo ottenuta, la gioia è cosi grande e meravigliosa da trascendere le parole umane”. La gioia dell’indipendenza fu stemperata dallo scoppio di nuovi conflitti, di una guerra che si protrae da sei decenni. Eppure, nonostante le violenze, e a dispetto di qualsiasi minaccia, Israele ha saputo costruire una fiorente democrazia nel cuore della Terra Santa. Avete accolto nel vostro paese immigrati provenienti da ogni angolo della terra. Avete forgiato una società libera e moderna, ispirata all’amore per la libertà, la passione per la giustizia e il rispetto della dignità umana. Vi siete instancabilmente adoperati per la pace. E avete valorosamente combattuto per la libertà. L’ammirazione del mio paese verso Israele, però, non si limita a tutto ciò. Per mia grande fortuna, ho potuto vedere da vicino il carattere di Israele. Ho potuto toccare il Muro occidentale, ammirare i riflessi del sole sul Mar di Galilea e pregare nello Yad Vashem. Questa mattina ho visitato Masada, un suggestivo monumento al coraggio e al sacrificio. Proprio qui i soldati israeliani prestarono un giuramento: “Masada non cadrà più”. E oggi io dico a voi, cittadini di Israele: Masada non cadrà più, e l’America starà sempre al vostro fianco. La nostra alleanza sarà guidata da chiari principi e comuni convinzioni radicate nell’onestà morale e non condizionabili dai sondaggi di popolarità o dalle opinioni in voga tra le élite internazionali. Crediamo nell’incommensurabile valore di ogni uomo, donna e bambino. Per tale ragione insistiamo affinché il popolo israeliano abbia il diritto a una vita normale, pacifica e dignitosa, come i cittadini di qualsiasi altra nazione. Crediamo che la democrazia rappresenti l’unica via per la garanzia dei diritti umani. Per questo riteniamo vergognoso il fatto che le risoluzioni sui diritti umani approvate dall’Onu colpiscano la democrazia più libera del medio oriente più di qualsiasi altro paese al mondo. Crediamo che la libertà religiosa sia un principio fondamentale nella società civile. Per questo condanniamo l’antisemitismo in tutte le sue forme, sia in coloro che mettono apertamente in discussione il diritto di Israele all’esistenza, sia in coloro che si limitano a giustificare tale atteggiamento. Crediamo che i popoli liberi debbano battersi e sacrificarsi per la pace. Per questo plaudiamo alle scelte coraggiose compiute dai leader israeliani. Crediamo anche che le nazioni abbiano il diritto di difendere se stesse, e che nessun popolo debba mai essere costretto a negoziare con assassini votati alla sua distruzione. Crediamo che trasformare vite innocenti in un bersaglio sull’altare di obiettivi politici sia sempre e ovunque sbagliato. Per questo combattiamo assieme contro il terrorismo e non abbasseremo mai la guardia né perderemo la nostra determinazione. La lotta contro il terrore e l’estremismo è la sfida decisiva della nostra era. E’ molto di più che uno scontro bellico: si tratta di uno scontro tra visioni opposte, e di una grande battaglia ideologica. Da una parte, c’è chi difende gli ideali di giustizia e dignità con il potere della ragione e della verità. Dall’altra, quanti coltivano una visione angusta ispirata all’insegna della crudeltà e del controllo attraverso gli spargimenti di sangue, l’incitazione alla paura e la diffusione della menzogna. E’ una lotta che si combatte con le tecnologie del Ventunesimo secolo, ma è un’antica battaglia tra il bene e il male. Gli assassini si nascondono sotto il mantello dell’islam, ma non sono individui religiosi. Chi compie questi atti barbarici è mosso da un unico e misero obiettivo: la sete di potere. Non accetta alcun Dio sopra di sé, e riserva un odio particolare ai più ferventi difensori della libertà, quindi anche agli americani e agli israeliani. Ecco perché nella carta costitutiva di Hamas si invoca l’“eliminazione” di Israele. Ecco perché i seguaci di Hezbollah inneggiano “Morte a Israele, Morte all’America!”. Ecco perché Osama bin Laden insegna che “l’uccisione degli ebrei e degli americani è uno dei compiti più importanti”. Ecco, infine, perché il presidente iraniano sogna il ritorno del medio oriente al Medioevo, e invoca la cancellazione di Israele dalla faccia della terra. C’è gente sincera e di valore che non riesce a distinguere l’odio cieco di cui questi uomini sono avvolti, e tenta in ogni modo di farsi una ragione delle loro parole. Tutto ciò è naturale. Ma è fatalmente sbagliato. Da testimoni del male perpetrato in passato, abbiamo la solenne responsabilità di prendere sul serio questi proclami. Alcuni sembrano credere che dovremmo negoziare con i terroristi e i radicali, come se una qualche ingegnosa argomentazione potesse persuaderli di essere sempre stati in errore. Abbiamo già sentito la stessa stolida illusione in passato. Nel 1939, quando i carri armati tedeschi invasero la Polonia, un senatore americano dichiarò: “Signore, se solo avessi potuto parlare con Hitler, avremmo potuto evitare tutto questo”. Abbiamo il dovere di chiamare le cose con il loro nome: quello era il falso conforto che viene dall’arrendevolezza, di cui più volte la storia ci ha insegnato a diffidare. Qualcuno sostiene che se gli Stati Uniti, semplicemente, interrompessero i rapporti con Israele, tutti i nostri problemi in medio oriente scomparirebbero. E’ una tesi ormai logora, che casca nella propaganda dei nostri nemici e che l’America rifiuta nel modo più assoluto. La popolazione d’Israele può anche essere poco più di 7 milioni di persone, ma quando deve difendersi dal terrorismo e dal male, il vostro paese è forte di 307 milioni di persone, perché l’America vi è accanto. L’America è al vostro fianco per stroncare le reti dei terroristi e impedire ai nemici di trovare riparo. E’ al vostro fianco perché si oppone alle ambizioni militari nucleari dell’Iran. Permettere ai principali sostenitori mondiali del terrorismo di entrare in possesso delle armi più mortali che esistano rappresenterebbe un imperdonabile tradimento delle generazioni future. Se vuole la pace, il mondo non può permettere all’Iran di disporre di armi nucleari. Per avere la meglio in questa battaglia, dobbiamo offrire un’alternativa all’ideologia degli estremisti espandendo in altri luoghi la nostra visione della giustizia e della tolleranza, della libertà e della speranza. Questi valori sono ovviamente diritto di tutti, di tutte le religioni, in tutto il mondo, perché sono un dono di Dio onnipotente. Garantire questi diritti è il mondo migliore di salvaguardare la pace. Le società in cui i cittadini possono esprimere la propria coscienza e venerare il proprio Dio non esportano violenza, ma si uniscono per raggiungere la pace. Non c’è luogo al mondo dove tale opera sia più urgente che qui, in medio oriente. Dobbiamo stare al fianco dei riformatori che operano per rompere vecchi ordini fondati sulla tirannia e la disperazione. Dobbiamo dare voce ai milioni di persone normali che sognano una vita migliore nella pace. Dobbiamo opporci al relativismo morale che pensa che tutte le forme di governo siano ugualmente accettabili e così facendo consegna intere società alla schiavitù. Soprattutto, dobbiamo avere fede nei nostri valori e in noi stessi, e perseguire con fiducia l’espansione della libertà, lungo un cammino che porterà a un futuro di pace. Quel futuro sarà profondamente diverso dal medio oriente di oggi. Allora, mentre festeggiamo i 60 anni dalla fondazione di Israele, proviamo a immaginare come sarà questa regione del mondo da qui a 60 anni. E’ una visione che non si realizzerà facilmente, né con pochi sforzi, e troverà una violenta resistenza da parte dei nostri amici. Ma se noi persevereremo nella nostra determinazione e avremo fiducia nei nostri ideali, ecco il medio oriente di domani: Israele starà festeggiando i suoi 120 anni e sarà una delle grandi democrazie del mondo, patria sicura e fiorente del popolo ebreo. Il popolo palestinese avrà la patria che da tanto tempo sogna e merita: uno stato democratico in cui vige la legge, che rispetta i diritti umani e rifiuta il terrorismo. Dal Cairo a Riad, a Baghdad e Beirut, tutti vivranno in società libere e indipendenti, in cui il desiderio di pace sarà cementato dai legami della diplomazia, del turismo e del commercio. Iran e Siria saranno nazioni pacifiche, dove lo stato d’oppressione in cui oggi vive la popolazione sarà un ricordo lontano e tutti saranno liberi di dire ciò che pensano e sviluppare il proprio talento. Al Qaida, Hezbollah e Hamas saranno stati sconfitti e i musulmani di tutta la regione avranno compreso quanto sia vuoto di significato il progetto dei terroristi e quanto ingiusta la loro causa. Il che non significa che Israele e i suoi vicini saranno grandi amici. Ma quando i politici di tutta la regione saranno responsabili delle proprie azioni, concentreranno le loro energie sulla scuola e sul lavoro, non sugli attacchi missilistici e sugli attentati suicidi. Con questi cambiamenti, Israele aprirà un nuovo capitolo colmo di speranze, in cui il suo popolo potrà vivere una vita normale, e il sogno di Herzl e dei fondatori del 1948 potrà finalmente essere realizzato. Si tratta di un progetto audace, e qualcuno dirà che non sarà mai possibile tradurlo in realtà. Ma pensiamo a quanto abbiamo visto nel nostro tempo. Quando i piloti giapponesi si lanciavano in missioni suicide contro le navi americane, sembrava impossibile che 60 anni dopo il Giappone sarebbe stato una democrazia, un cardine della sicurezza in Asia e uno dei più stretti amici dell’America. E quando intere ondate di rifugiati giunsero qui nel deserto senza niente, circondati da eserciti ostili, era quasi inimmaginabile che Israele sarebbe diventato uno dei paesi più liberi e prosperi del mondo. Eppure ognuna di queste trasformazioni c’è stata davvero. Un futuro di trasformazioni è possibile anche per il medio oriente, a patto che nasca una uova generazione di guide politiche che abbia il coraggio di sconfiggere i nemici della libertà, di fare quelle scelte difficili necessarie per raggiungere la pace e di rimanere aggrappata alla roccia ferma dei valori universali. Sessanta anni fa, all’alba dell’indipendenza d’Israele, gli ultimi soldati inglesi in partenza da Gerusalemme si fermarono presso un edificio nel quartiere ebraico della Città Vecchia. Un ufficiale bussò alla porta e incontrò un importante rabbino; gli regalò una barra di ferro, la chiave delle porte di Sion, dicendo che era la prima volta in 18 secoli che la chiave delle porte di Gerusalemme apparteneva a un ebreo. Con le mani tremanti, il rabbino innalzò a Dio una preghiera di ringraziamento, perché “ci ha dato la vita e ci ha permesso di giungere a questo giorno”. Poi si rivolse all’ufficiale e pronunciò le parole che gli ebrei attendevano da lunghissimo tempo: “Accetto questa chiave nel nome del mio popolo”. Negli ultimi 60 anni, il popolo ebreo ha creato uno stato che avrebbe reso fiero quell’umile rabbino. Avete fatto crescere una società moderna nella terra promessa, una luce per le nazioni che custodisce l’eredità di Abramo, Isacco e Giacobbe. E avete costruito una democrazia forte, che durerà per sempre e che sempre potrà contare sul sostegno dell’America. Che Dio benedica Israele.
venerdì 16 maggio 2008
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3 commenti:
Buongiorno, scusi il disturbo ma alcuni bloggers di varia estrazione politica hanno indetto un concorso per votare il blog più inutile dell'intera rete. Se lei non si offende io e alcuni amici pensavamo di segnalare proprio il suo, le spieghiamo il motivo in breve: pur avendo girato la rete in lungo e in largo, e in particolare i blog a carattere politico, non ci era mai capitato di trovare un blog più inutile di questo. Le cose che scrive lei, al di la delle sue legittime opinioni politiche, e soprattutto quando non è troppo impegnato a copincollare scritti altrui in virtù di evidenti limiti suoi, e nel ragionare e nell'esprimersi, dicevamo le cose che scrive lei sono un inno alla banalità e all'ignoranza più becera, condita da una forte dose di partigianeria ruffianetta, senz'arte nè parte insomma.
Ci dispiace averla offesa, d'altronde è una critica a ciò che qua dentro è scritto e non allo scrivente, però siamo lieti di comunicarle che ha ottime possibilità di aggiudicarsi il premio come blog più inutile dell'intera rete. Saluti.
Ringo De Palma
Minchia, grazie!!!
Corro subito a dirlo a tutti i miei amici!
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Ma veramente hai impiegato tutto quel tempo, (consumando inutilmente la tastiera) a scrivere queste idiozie?
P.S.
I Litfiba fanno schifo
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