mercoledì 31 dicembre 2008

Gaza: Barak è favorebole alla tregua proposta dai francesi (e Hamas?)

di Barry Rubin

31 Dicembre 2008

Il ministro Barak valuta positivamente il cessate il fuoco proposto dall'Unione Europea. Ma il 2008 di di Israele finisce com’era cominciato. Sotto tiro.

Civili israeliani sotto i missili di Hamas ad Ashkelon

Ieri l’Europa ha chiesto a Israele un “cessate il fuoco” che garantisca l'accesso degli aiuti umanitari nella Striscia di Gaza. Gerusalemme si è data 48 ore di tempo per valutare la proposta francese. Il ministro della difesa Barak ha detto di essere favorevole alla tregua. Domani Tzipi Livni volerà a Parigi per discuterne con il presidente Sarkozy che nei giorni scorsi aveva definito “spropositata” la reazione israeliana. Obama resta prudentemente in silenzio mentre Bush si tiene in contatto con Abu Mazen e ringrazia Mubarak per il comportamento tenuto dall’Egitto. Rispunta anche Richard Falk, ispettore per i diritti umani alle Nazioni Unite, che denuncia le “scioccanti atrocità” commesse dagli israeliana a Gaza. Pubblichiamo un editoriale di Barry Rubin apparso sul "Jerusalem Post" che fa il punto sugli scenari di guerra in gioco e sulla strategia mediatica e militare di Hamas.

Non c’è più niente di chiaro nella strategia di Hamas. L’organizzazione offre a Israele di scegliere tra due ipotesi: subire l’attacco dei razzi e quello dei media, e pensa che la situazione attuale si possa riassumere così: “Noi vinciamo o voi perdete”.

Opzione A. Il “cessate il fuoco”. Termina il “cessate il fuoco” e Hamas cerca di ottenere pace e tregua necessari a incrementare il suo esercito e consolidare il suo potere a Gaza. Israele garantisce gli approvvigionamenti a patto che non ci siano altri attacchi. Dal punto di vista pragmatico del mondo occidentale questa sarebbe una grande occasione per mettere un freno alla crisi in atto. Ma Hamas non è un’organizzazione pragmatica di stampo occidentale. I suoi nemici sono proprio la pace e la tregua, non solo a causa della sua ideologia – la sfera divina gli comanda di distruggere Israele – o per la sua immagine – di eroi e martiri – ma anche perché il suo esercito ha bisogno di reclutare affiliati tra le masse per una guerra permanente, e quindi deve guadagnarsi il consenso della popolazione. Hamas non ha alcun programma per lo sviluppo del benessere del popolo palestinese. Non vuole educare i bambini a diventare dottori, insegnanti, o ingegneri. La sua piattaforma politica si sviluppa intorno a un solo punto: guerra, guerra, una guerra senza fine, fatta di sacrificio, eroismo, e martirio fin quando non sarà raggiunta la vittoria totale. Così finisce l'ipotesi “cessate il fuoco” .

Opzione B. I razzi. Termina il “cessate il fuoco” e riprendono a piovere missili su Israele, accompagnati da mortai e da attacchi occasionali di Hamas lungo la linea di confine. Israele non reagisce. Hamas si esalta: sei debole, sei confuso, sei privo di difese. Accorrete gente, insorgete per distruggere la “tigre di carta”! Così vengono reclutati nuovi adepti, i palestinesi della West Bank assistono con ammirazione a questi scontri con il nemico, e il mondo arabofono ne resta impressionato. Ricordate il 2006, dicono. E’ proprio come con l’Hezbollah. Israele è indifeso di fronte ai missili.

Opzione C. I media. Israele torna allo scontro armato. Proseguono i piani per bombardare obbiettivi militari specifici che però sono stati deliberatamente collocati tra i civili da Hamas. Se ci sarà un rischio troppo alto di colpire i civili, Israele non attaccherà. Ma c’è una linea al di sotto della quale ci sarà un rischio di fare vittime innocenti, ed è giusto che sia così. A quel punto i sorrisi compiaciuti spariranno dai volti dei leader di Hamas. Tuttavia gli islamisti hanno un’arma di riserva, i loro appelli ai media. Questi arroganti, eroici, macisti vincitori di ieri si sono trasformati in vittime compassionevoli. Hamas annuncia ogni genere di tragedia disastrosa e i reporter che non sono sul terreno la recepiscono senza alcun riscontro.

Ogni singolo colpo è, ovviamente, un palestinese civile morto. Non ci sono soldati a Gaza. E le disgrazie sono sempre “sproporzionate”: Hamas ha predisposto tutto perché si segua questa via. L’organizzazione terrorista ha bisogno di fotografi complici che immortalino bambini mentre fingono di essere feriti. Immagini che una volta pubblicate nei giornali occidentali diventano fatti incontrovertibili. La guerra si può vincere con i missili e i mortai, articoli di giornali certamente no. Certo, è stato causato un danno materiale che ostacola lo sviluppo materiale di Gaza. Ma questo ad Hamas non interessa, gli basta semplicemente garantire la distruzione della propria base concreta. Hamas si sta auto-distruggendo. In particolare è stremata a causa degli attacchi israeliani che si focalizzano su obiettivi militari.

Conclusione: il problema senza soluzione. Sicuramente Israele non può raggiungere una completa vittoria. Hamas non cadrà. La questione non si risolverà. Per Hamas la sopravvivenza deve coincidere con la vittoria. Hamas, come l’OLP, conquista una “vittoria” dopo l’altra ma ogni volta conclude la sua esperienza politica in un modo peggiore del precedente. Il conflitto terminerà. Comunque vada a finire questo ciclo di violenze, anche queste giornate finiranno. Tornerà la pace e i rifornimenti rifluiranno nuovamente a Gaza. Così fra qualche mese il processo si ripeterà. Con una differenza fondamentale: Israele usa il suo tempo non solo per il training militare ma anche per educare i suoi bambini, costruire infrastrutture, alzare il suo standard di vita. Hamas non fa nulla di tutto questo. “Noi crediamo nella morte – dice Hamas – voi credete nella vita”. State attenti a ciò che desiderate, lo potreste ottenere.

Barry Rubin è direttore del Global Research in International Affairs

Traduzione di Kawkab Tawfik

Tratto da "The Jerusalem Post"

martedì 30 dicembre 2008

La nascita di Israele

(brevissimo riassunto)

Nella rivolta palestinese del '36 morirono circa 6.000 palestinesi, circa 4.500 per mano di altri palestinesi. 100 furono impiccati dagli inglesi. 30.000 palestinesi fuggirono all'estero per paura della violenza di altri palestinesi.

La causa è banale, come sempre. Il 15 aprile 1936 due ebrei furono uccisi da arabi che li rapinavano; ci fù una rappresaglia, il Gran Muftì di Gerusalemme (futuro "amico" di Hitler e organizzatore delle SS islamiche) soffiò sul fuoco. trasformò i tumulti in Jihad. Gli obiettivo non erano solo gli ebrei, ma anche inglesi occupanti e soprattutto arabi “collaborazionisti”. Particolare foga vi fù contro le proprietà degli ebrei.

La commissione Peel nacque quando gli inglesi, preso atto che le due parti, date le violenze convivere sarebbe stato ben difficile, inviarono a Gerusalemme Lord William Peel. Egli convocò le parti (Arabi e Sionisti), ma il Gran Muftì rifiutò la convocazione, voleva una precondizione, il blocco totale dell'immigrazione ebraica. (la “Notte dei cristalli “ è del '38) .

Non dopo la discussione rifiutò, prima. Gli inglesi, in segno di apertura ridussero l'immigrazione ebraica a 1.800.

Il Muftì accettò di sedersi ad un tavolo? Ovviamente no.

Il 7 luglio la commissione Peel pubblicò il suo rapporto. Mediando le posizioni dei sionisti e del re di Transgiordania Abdullah e il politico iracheno al Said.

Il risultato fu uno Stato ebraico di 5.000 km^2 e 20.000 km^2 di Stato arabo.

L'Irgun,organizzazione estremista ebraica, rifiutò. Ma l'Irgun era minoritario, il XX congresso sionista di Zurigo, pur con contrasti, anche forti, approvò nell agosto 1937 con 229 voti contro 160.

Abdullah ed al Said erano favorevoli e lo era anche il clan moderato dei Nashashibi.

Il Muftì fece saltare tutto inasprendo la guerra civile interpalestinese, (da qui il gran numero di palestinesi uccisi e fuggiti, i “collaborazionisti”, che volevano pace e convivenza, tentarono addirittura di sedare i tumulati attraverso le”squadre delle pace”) . Tutto saltò.

Fu allora che il governo britannico dell'indecente, vigliacco Chamberlain, indisse (aprile '38) una altra commissione, presieduta da Sir Woodhead. Ironia della sorte il suo rapporto fu consegnato al governo il 9 novembre del 1938, il giorno della “Notte dei cristalli”.

Il 7 febbraio '39 fu indetta una conferenza che portò al Libro Bianco del 17 maggio 1939.

Lo stato ebraico sparì totalmente, lo stato arabo sarebbe sorto 10 anni più tardi su tutto il territorio mandatario, neanche un centimetro escluso. Inoltre l'immigrazione ebraica venne limitata a 75.000 in 5 anni fino al 1944, poi se ne sarebbe occupati gli arabi. Ovviamente l'organizzazione ebraica rifiutò.

I Nashashibi erano entusiasti, nonostante ciò furono messi in minoranza. Il Gran Muftì voleva un numero di immigrati ebrei massimo pari a zero, voleva l'indipendenza subito, non voleva aspettare 10 anni. (così non l'ebbe mai). Il Mufì si alleò con il re saudita e con Hitler, allo scopo per espellere gli ebrei dalla Palestina. Nel maggio 1941 il Muftì proclamò il Jihad dei musulmani di tutto il mondo a fianco dell'asse nazifascista.

Il libro bianco, per quel che riguardava l'immigrazione ebraica venne rispettato.

La guerra mondiale era alle porte.

Dachau era già in funzione, Auschwitz lo sarebbe stato poco dopo.

E fu allora che Ben Gurion disse “Aiuteremo i britannici nella guerra come se non ci fosse il Libro Bianco e lotteremo contro il Libro Bianco come se non ci fosse la guerra ”. L'agenzia ebraica organizzò i volontari nell'armata britannica che nel '44 raggiunsero i 50.000. Ebbero più tardi anche una brigata a parte con bandiera con la stella di David.

Per questo poi ebbero lo Stato, erano cobelligeranti con gli alleati , e vinsero. La dirigenza degli arabi si schierò con i nazisti, e persero.

lunedì 29 dicembre 2008

I calcoli di Hamas

Janiki Cingoli, 62 anni, è direttore del Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente (Cipmo), riconosciuto dal ministero degli Esteri dal 1998. E’ uno dei massimi esperti di questioni mediorientali. Panorama.it l’ha contattato per conoscere il suo parere sull’ attacco militare a Gaza e sui possibili scenari futuri nella regione.


Cacciabombardieri F 16 della Forza Aerea Israeliana (IAF)

Come si è arrivati a questa “resa dei conti”?
“Il 19 dicembre è scaduta la tregua, che bene o male aveva retto per buona parte del 2008. Hamas ha annunciato che non avrebbe rinnovato la tregua perché riteneva non adempiute alcune condizioni, specialmente riguardo i valichi da e per Gaza. Così è iniziata la pioggia di razzi verso Israele, razzi che sono sempre più potenti, ormai arrivano a 100 km di gittata. Una reazione, voluta e provocata da Hamas, era inevitabile”

Perchè voluta? Hanno subito molte perdite
“Hamas ha bisogno di passare come il martire della stuazione e vuole attirare l’attenzione sulla condizione di vita a Gaza. In definitiva vogliono arrivare a una tregua più favorevole ed essere tenuti in considerazione”

E non rischiano invece di essere annientati da Israele?
“C’è una cosa che tutti i comandanti israeliani hanno ben chiara: ‘non ripetere il Libano’. Anche se Barak minaccia un intervento lungo e anche via terra, solo militarmente Israele non può vincere”

Perché?
“Se occupa di nuovo la Striscia di Gaza deve poi tenerla sotto controllo con un costo in termini di vite umane, denaro e legittimità internazionale che non può permettersi di pagare. In più dovrebbe farsi carico di un milione e mezzo di palestinesi carichi d’odio. E’ una tenaglia montata da Hamas”

Ma una soluzione politica sembra quanto mai lontana
“In questo momento ci sono due strade: o si va a uno showdown ancora più progressivo o si riapre un negoziato. Con l’Anp, l’Egitto come mediatore e anche Hamas. Dopo aver mostrato i muscoli, forse nel giro di 5-6 giorni, le parti cominceranno a trattare”

Hamas sembra pronta a tutto fuorché a trattare
“Hamas è fondamentalista ma non illogico. è ormai la principale forza politica palestinese: Al Fatah è un partito ormai fatiscente, ha perso i contatti coi civili. Cosa che invece i fondamentalisti mantengono, e possono chiamare a una “terza intifada” contro Israele ma anche contro Fatah. Non si può non tenere conto di Hamas, ma bisogna esigere la fine degli attentati e dei razzi”

Israele può ottenere la fine del lancio di Qassam?
Solo con un intervento dell’aeronautica no. Ma un intervento di terra presenta rischi più gravi

Anche in campo elettorale?
“Le elezioni sono a febbraio. E’ chiaro che il ministro della difesa laburista Barak adesso torna figura di primo piano nell’arena politica, dopo essere stato accusato di eccessiva mollezza dal Likud e dalla Livni. Ma un’eccessiva durata dell’operazione potrebbe essere controproducente: il Libano insegna.”

Quali sono le responsabilità della comunità internazionale?
“Il fatto che non sia stato accettato l’accordo de La Mecca è uno dei motivi del rafforzamento di Hamas. E poi la dottrina Bush della divisione del mondo in buoni e cattivi ha di fatto rafforzato solo i “cattivi”: la Siria ora tratta con Israele e partecipa ai vertici internazionali, l’Iran fa da leader “anti-sionisti”, Hezbollah è partito di governo in Libano e Hamas ha il controllo di Gaza …”

Panorama

http://liberaliperisraele.ilcannocchiale.it/post/2130163.html

Obama farebbe la stessa cosa

Se qualcuno spedisse razzi nella mia casa dove dormono le mie due figlie la notte, farei tutto per fermarlo, e mi aspetto che israele faccia la stessa cosa.

Barack Obama

domenica 28 dicembre 2008

L'APOCALISSE ALLE PORTE di Benny Morris

L'APOCALISSE ALLE PORTE di Benny Morris

Molti israeliani oggi si sentono accerchiati dai muri — e dalla storia — nel loro Stato, nato 60 anni or sono, proprio come lo furono nel 1967, alla vigilia della «Guerra dei sei giorni» in cui sconfissero gli eserciti di Egitto, Giordania e Siria nel Sinai, in Cisgiordania e sulle alture di Golan.Durante le settimane che precedettero il conflitto gli egiziani avevano scacciato le forze di pace dell'ONU dal confine tra Sinai e Israele, sbarrato lo Stretto di Tiran alle navi israeliane e al traffico aereo, messo in campo cinque divisioni corazzate e di fanteria sulla frontiera di Israele e firmato una serie di patti militari con Siria e Giordania, che consentivano loro il dispiegamento di truppe in Cisgiordania.

Le stazioni radio e i leader politici dei Paesi arabi strombazzavano di ora in ora l'annuncio dell'imminente trionfo: gli ebrei sarebbero stati scaraventati in mare.
Gli israeliani, o piuttosto gli ebrei israeliani, cominciano a provare le medesime sensazioni avvertite dai loro genitori in quei giorni apocalittici che precedettero l'attacco dell'esercito israeliano. Oggi Israele è uno Stato molto più prospero e potente - all'epoca contava poco più di due milioni di abitanti (contro i 5,5 milioni attuali), un bilancio di meno del venti percento di quello odierno e nessun deterrente nucleare - eppure la stragrande maggioranza della popolazione guarda al futuro con profonda apprensione.

I presentimenti più cupi scaturiscono da due fonti generali e da quattro cause specifiche. I problemi generali sono semplici: innanzitutto, il mondo arabo e in genere islamico, malgrado le speranze israeliane dal 1948 a oggi, non ha mai riconosciuto la legittimità della creazione di Israele e continua a opporsi alla sua esistenza, nonostante i trattati di pace firmati dai governi di Egitto e Giordania con lo stato ebraico rispettivamente nel 1979 e nel 1994.

Secondo: mentre l'Olocausto sfuma ormai sempre di più in un ricordo sbiadito e lontano e le pressioni del mondo arabo emergente e desideroso di affermare la sua potenza si fanno incalzanti, l'opinione pubblica in Occidente (e in democrazia, i governi non possono far altro che seguirla) si allontana gradualmente da Israele, mentre guarda con sospetto il trattamento riservato dallo Stato ebraico ai vicini palestinesi e ai suoi cittadini arabi. E' indicativa la popolarità di alcune recenti pubblicazioni assai critiche verso Israele, come Pace non apartheid in Palestina, di Jimmy Carter, e La lobby israeliana e la politica estera americana, di John Mearsheimer e Stephen Walt. Solo un paio di decenni fa, tali libri avrebbero suscitato scarso interesse.
Per entrare nello specifico, Israele deve affrontare una combinazione di minacce, tutte ugualmente terrificanti.

A est, l'Iran si affretta a completare il programma nucleare, che secondo gli israeliani e i servizi di spionaggio internazionali è destinato alla produzione di armi atomiche. E questo, abbinato alle ripetute smentite da parte del presidente iraniano Ahmadinejad dell'esistenza dell'Olocausto (e dell'omosessualità in Iran), che basterebbero a provare la sua irrazionalità, e ai pubblici appelli a distruggere lo Stato ebraico, mette sulle spine i leader politici e militari di Israele.

A nord, il movimento fondamentalista libanese di Hezbollah, anch'esso votato alla distruzione di Israele, si è riarmato fino ai denti dall'estate del 2006, quando la guerra lanciata da Israele per sbarazzarsi di quell'organizzazione non ha dato i risultati sperati. Oggi, secondo le stime dei servizi segreti israeliani, Hezbollah dispone di un arsenale bellico doppio rispetto al 2006, che consiste di 30-40.000 missili di fabbricazione russa forniti da Siria e Iran, alcuni dei quali possono raggiungere le città di Dimona e Tel Aviv. Se dovesse scoppiare un conflitto tra Israele e l'Iran, o Israele e la Palestina, certamente Hezbollah si getterà nella mischia.

A sud, Israele deve vedersela con il movimento islamista di Hamas, che controlla la Striscia di Gaza e la cui costituzione o statuto promette di distruggere Israele e di ricondurre ogni centimetro quadrato della Palestina sotto il governo e la legge dell'Islam.
Oggi Hamas vanta un esercito di migliaia di uomini, uno spiegamento di molte migliaia di missili — i razzi Qassam di fabbricazione locale e i missili Katyusha e Grad di provenienza russa, finanziati dall'Iran e contrabbandati attraverso tunnel dal Sinai, mentre l'Egitto chiude un occhio — la cui gittata raggiunge le città di Ashkelon, Ashdod, Kiryat-Gat e i sobborghi di Beersheba. Le ultime settimane hanno visto un martellamento giornaliero di Qassam contro gli insediamenti israeliani di confine, provocando disperazione, panico e fuga. L'opinione pubblica e il governo israeliano ne hanno avuto abbastanza e l'esercito si prepara a lanciare una pesante controffensiva nei prossimi giorni.

Ma non basterà a risolvere i problemi sollevati da una Striscia di Gaza popolata da un milione e mezzo di palestinesi impoveriti e disperati, governati da un regime di fanatici che odiano Israele. E una massiccia operazione di terra da parte di Israele, allo scopo di invadere la Striscia e distruggere le milizie di Hamas, con ogni probabilità si ritroverebbe impantanata prima ancora di riuscire nel suo intento. Senza contare che, se l'offensiva dovesse andare a segno, il nuovo dominio di Israele su Gaza, senza limiti di tempo, risulterebbe ugualmente inaccettabile.
Ma se Israele non prende una decisione, il futuro è carico di presagi altrettanto spaventosi. I Qassam, a differenza dei Katyusha e dei Grad, sono armi relativamente innocue — solo una dozzina di israeliani hanno perso la vita in questi attacchi nell'ultimo decennio — ma si dimostrano molto efficaci nel seminare terrore e sgomento. Se aumenta il rischio di lanci missilistici, come avverrà inevitabilmente con il crescente arsenale di Hamas, la vita nel Sud di Israele potrebbe diventare intollerabile.

La quarta minaccia immediata è interna allo Stato di Israele e proviene dalla minoranza araba. Nel corso degli ultimi due decenni, i cittadini arabi di Israele (che ammontano a 1,3 milioni) si sono sostanzialmente radicalizzati, rivendicando apertamente la loro identità palestinese e abbracciando la causa nazionale della Palestina. La maggior parte di essi afferma di sostenere il loro popolo, anziché il loro Stato (Israele). Molti leader di questa comunità, approfittando delle istituzioni democratiche israeliane, hanno appoggiato più o meno dichiaratamente Hezbollah nel 2006 e invocano all'unisono una qualche forma di «autonomia » e lo scioglimento dello Stato ebraico.

Non sul campo di battaglia, ma in campo demografico gli arabi si sono già assicurati la vittoria: il tasso di natalità tra gli arabi israeliani è tra i più elevati al mondo, con 4-5 figli per famiglia (contro i 2-3 figli per famiglia tra gli ebrei). Gli esperti sono convinti che a questo ritmo verso il 2040 o il 2050 gli arabi rappresenteranno la maggioranza della popolazione israeliana. E nel giro di cinque-dieci anni gli arabi (gli arabi israeliani sommati a quelli che risiedono in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza) formeranno la maggioranza della popolazione in Palestina (il territorio che si estende tra il fiume Giordano e il Mediterraneo).

Ma le frizioni tra israeliani e minoranza araba costituiscono già un fattore politico assai preoccupante. I leader arabi di Israele reclamano da tempo l'autonomia e nel 2000, all'inizio della seconda Intifada, migliaia di giovani arabi israeliani, per solidarietà con i loro fratelli nei territori semi-occupati, hanno scatenato disordini lungo le principali arterie israeliane, bloccando il traffico, e nelle città a popolazione mista. Gli ebrei israeliani temono che alla prossima occasione i tumulti saranno molto peggiori e considerano la minoranza araba come una potenziale Quinta colonna.

In queste minacce specifiche, che siano a breve, medio e lungo termine, il denominatore comune è il fattore della sorpresa. Tra il 1948 e il 1982 Israele è riuscito a fronteggiare senza troppe difficoltà gli eserciti convenzionali arabi, sgominandoli in più occasioni. Ma la minaccia nucleare iraniana, geograficamente distante, e il complesso dei gruppi Hamas-Hezbollah, capaci di operare scavalcando confini internazionali e insediandosi fin nel cuore di città ad alta densità di popolazione, sommati al crescente scontento dei cittadini arabi di Israele verso lo Stato in cui vivono, presentano oggi un pericolo di natura completamente diversa. Sono queste le sfide che il popolo e i politici israeliani, vincolati da norme di comportamento liberali e democratiche di stampo occidentale, trovano difficili da affrontare e risolvere.

Benny Morris

La guerra contro Hamas ha inizio

L'azione di ieri rappresenta una reazione ai continui attacchi di Hamas, che non si sono fermati neanche durante la cosiddetta tregua. Nei giorni scorsi sono stati centinaia i Qassam e colpi di mortaio sparati dalla striscia di Gaza.

Israele ha deciso che era ora di finirla.

Qualsiasi azione non avente l'obiettivo di eliminare Hamas, sarebbe inutile e dannosa.
Senza questo obiettivo l'attacco sarebbe veramente sproporzionato, per essere una semplice ritorsione. L'obiettivo non sarebbe degno. Ma è guerra, dolorosamente necessaria.
Riprenderanno gli attacchi suicidi. La terza intifada, è dietro l'angolo. Hezbollah sembra più armato che mai.
Bisogna estirpare il male alla radice.

Dal 6 novembre a ieri solo dalle brigate Ezzedin al Kassem sono stati tirati sulle città israeliane 500 Qassam. Hamas vuole vittime civili proprie, forse più di quanto, per ora, voglia vittime civili israeliane. Ha continuato gli attacchi persino il giorno di Natale.
Era stata sfiorata la strage, 150 pellegrini cristiani palestinesi si stavano dirigendo a Betlemme e si sono salvati per miracolo quando una bomba di mortaio sparata dai miliziani palestinesi è caduta sul valico di Erez colpendo uno stabile nel quale si trovavano, ma senza scoppiare.

L'altro ieri, poi un razzo sparato dal Gaza ha ucciso due sorelle palestinesi, per errore. A dimostrazione che i razzi che usano non sono "fuochi d'artificio", ma armi letali.

Non è certa l'entità dei danni, dei civili sono probabilmente morti, e questa è una cosa dolorosa. Ma Hamas dopo il colpo di stato, quando ha preso il controllo di Gaza, è responsabile per le sue azioni.

Ma i membri di Hamas, non indossano divise, non mettono i mortai e lanciano i loro razzi lontano dalle abitazioni civili. Di fatto usano la popolazione come scudo, per poi piangere lacrime di coccodrillo ad un opinione pubblica europea compiacente.
Mirano ai civili.
Si danno la morte per la causa, ma non sono certo come Jan Palach che si diede fuoco per protesta contro l'invasione della Cecoslovacchia.

Da tempo la situazione era insopportabile.
L'Egitto, secondo fonti riportato dal quotidiano arabo ''al Quds al Arabi'', aveva concordato un ''operazione limitata'', inoltre, il ministro degli esteri egiziano, Ahmed Abu Reit, ieri pomeriggio in un discorso ufficiale ha detto ha avvertito Hamas che se non avessero smesso il lancio di Qassam
e di mortai, si sarebbero dovuti assumere la responsabilità dei loro gesti.
Sembra per la prima volta, che un rappresentante ufficiale di un paese arabo si esprime così chiaramente circa il comportamento di altri arabi. Le reazioni ufficiale dell'Egitto sono di condanna.

Il periodo è più delicato che mai.
Le elezioni in Israele sono imminenti, il mandato di Abu Mazen scade il 9 gennaio, Obama si insedierà il 20.

Vi è una condizione di realismo da fare, generalmente bisogna fare il contrario di quello che il tuo nemico vuole. E' evidente che Hamas ha provocato, costringendo Israele a reagire.
Israele ha forse sbagliato ? Per quanto doveva subire? Basta leggere lo statuto di Hamas per capire che non è certo l'inazione israeliana a fermarli, anzi li incoraggia, il ritiro da Gaza non era visto come un passo verso la pace, ma come una loro vittoria. Se la reazione si fermasse lì sarebbe cadere nella trappola. Forse si aspettava una normale azione punitiva. Il suo scopo è radicalizzare il conflitto, piangere un po' e aumentare i consensi.

Sarebbe stato meglio aspettare qualche giorno, inerme, che la pavida Europa dicesse "va bene, avete subito abbastanza, potete reagire, ma non troppo"?

Facile dirlo quando la tua popolazione fa lo shopping natalizio e non vive nel terrore, facile quando i tuoi bambini vivono felici i giorni di festa e non temono che la morte arrivi, indiscriminatamente , dal cielo.

venerdì 26 dicembre 2008

Tensione crescente fra India e Pakistan

Due settimane fa avevo scritto una bozza che si intitolava "Così iniziava la I° guerra mondiale " riguardo alle tensioni fra India e Pakistan e i paralleli con quelli fra Impero austro-ungarico e Serbia dopo l'attentato di Sarajevo.
Pensavo che la cosa sarebbe finita lì dopo un po' di tensione. L'intento era semplicemente mostrare come in passato eventi simili hanno portato alla guerra.

Poi l'ho cancellata perché pensavo che era eccessivo ed inopportuno, e perché la tensione sembrava scemata.

Oggi scopro che non era così, anche se continuo a credere che non scoppierà una guerra.

"Islamabad sospende le licenze dei militari e sposta truppe dal confine afghano a quello indiano"

A meno di uno stupido colpo di mano dell'esercito o dei servizi segreti Pakistani la cosa si risolverà diplomaticamente. Ovviamente la guerra non conviene a nessuno dei due. Non solo, il Pakistan rischia parecchio di più, è instabile e non controlla già parti tribali del suo territorio. Già spostando truppe verso il confine indiano peggiora la sua situazione.

Conviene a tutti ed in particolare agli Stati Uniti un raffreddarsi della tensione ed un maggiore impegno pakistano per il controllo delle aree tribali al confine con l'Afghanistan.

Forse era proprio questo lo scopo di chi ha organizzato gli attentati, accrescere la tensione fra i due paesi e avere maggiore mano libera nelle aree tribali. Se i servizi pakistani c'entrano con l'attentato, allora potrebbero benissimo fare una qualche provocazione all'India.

Al governo Pakistano sta l'onore di risolvere le proprie grane. Ripulire i propri servizi e combattere veramente il terrorismo. E noi, Occidente, dovremmo capire che questo è un nostro preciso interesse, aiutare. Non possiamo fregarcene.
Soprattuto l'Europa ha latitato parecchio...

giovedì 18 dicembre 2008

Lanciare scarpe a Baghdad

“Un giornalista ha lanciato una scarpa contro il presidente Saddam Hussein durante una conferenza stampa a Baghdad per protestare contro le violazioni dei diritti umani e lo stermino degli oppositori. L’uomo è stato arrestato e impiccato dopo poche ore, i corpi di tutti i componenti della sua famiglia sono stati ritrovati mesi dopo in una fossa comune”.

Non avete di certo mai letto una notizia del genere, primo perché probabilmente una cosa del genere non è mai accaduta, poi perché se anche fosse successo la notizia non sarebbe mai uscita."

http://www.loccidentale.it/articolo/lanciare+scarpe+a+baghdad.0063220

mercoledì 17 dicembre 2008

Non è più come una volta.

Una volta funzionava così: gli avvisi di garanzia venivano spediti tramite il corriere della sera, oggi si aspetta addirittura la chiusura dei seggi.

giovedì 11 dicembre 2008

Le promesse elettorali di Veltroni

Le promesse elettorali sono in genere carta igienica, soprattutto se perdi.
Chi si ricorda che Veltroni aveva promesso 15 miliardi di tagli.

Di cosa si lamenta il PD?
Si dovrebbero lamentare che i tagli sono troppo pochi.
E invece...

Sabina Guzzanti Intervista Paolo Guzzanti 2° Puntata

Parte 1

Parte 2

Parte 3

Parte 4

Parte 5

venerdì 5 dicembre 2008

Villari segretario di Stato??


Grazie al mitico Forattini

giovedì 4 dicembre 2008

Metropolitana


Si stà come sardine
in scatola,
d'autunno.









...e poi non dite che non sono poeta.

mercoledì 3 dicembre 2008

Rutelli: vanno tolti i figli a chi li manda a mendicare

Bravo Rutelli!
Finalmente hai tirato fuori le palle.


Accetteremmo mai che la nostra vicina di casa si piazzi sul marciapiede a chiedere l’elemosina con il figlio seminudo accanto...? E accetteremmo mai che il marito della signora, poi, passi a ritirare i soldi?». Le domande retoriche se le pone Francesco Rutelli che, anche in forza di una lunga esperienza in Campidoglio, ha fatto un salto nel leggere per intero la sentenza con cui la Cassazione ha derubricato, da riduzione in schiavitù a maltrattamenti in famiglia, il reato contestato dalla corte d’Appello di Napoli a una madre rom che praticava il «manghel» (accattonaggio) part-time con il figlioletto semisvestito anche di inverno. Rutelli non si limita all’indignazione. E per questo fa una proposta al Pdl: «Bene Maroni, che con il suo ddl raccoglie la proposta mia e di Amato sull’inasprimento delle pene per chi impiega i minori nell’accattonaggio. Ma, se la maggioranza è d’accordo, io proporrei che in ogni caso scatti la privazione della potestà genitoriale...».

Lei propone la linea dura ma è vero che la Cassazione ha cercato di differenziare tra il nomade adulto che riduce in schiavitù e il genitore rom che si fa accompagnare nell’attività di accattonaggio «molto radicata nella cultura e nella mentalità di tali popolazioni».
«Io non intendo criticare i magistrati. Prendo solo atto del dispositivo della sentenza anche se culturalmente non lo condivido. Penso, infatti, che noi dovremmo affermare con forza una visione universale dei diritti umani. I bimbi—senegalesi, rom, italiani — sono tutti uguali perché nel nostro Paese l’inquadramento di una persona al di fuori delle condizioni della convivenza civile non può essere tollerato».

Vieterebbe l’accattonaggio, come propone la Lega?
«Se un adulto è costretto a fare l’accattonaggio non commette reato perché qualsiasi persona potrebbe trovarsi in condizione di necessità, anche se è dovere della comunità sostenere le persone più povere. Ma l’accattonaggio sistematico, organizzato da alcune comunità rom, non è tollerabile perché vivere nel nostro Paese credo significhi anche superare aspetti di tradizioni evidentemente deteriori ».

Il ddl Maroni all’esame del Senato prevede un inasprimento delle pene per chi sfrutta i minori di 14 anni nell’accattonaggio. Che farà il Pd?
«In realtà un inasprimento delle pene, grazie a un emendamento per il quale mi sono molto battuto in consiglio dei ministri, era già previsto nel ddl Amato. La mia proposta, seppure non prevedesse un automatismo tale da far configurare sempre la riduzione in schiavitù, produceva gli stessi effetti del reato più grave, con tanto di pena accessoria di perdita della potestà genitoriale in caso di condanna per l’impiego di minori nell’accattonaggio».

Maurizio Gasparri (Pdl) ha annunciato emendamenti. Collaborerete?
«Io, innanzitutto, confermo che bene ha fatto il ministro Maroni a raccogliere quella norma che aveva previsto anche il governo Prodi. Ben venga poi un’intesa con il Pdl per ripristinare l’automatismo che, in presenza di minori di anni 14 portati sulla strada a mendicare, preveda le sanzioni proprie della riduzione in schiavitù».

La proposta Rutelli, dunque, inasprisce la pena prevista dal ministro Maroni?
«Rutelli va oltre Maroni? Se vogliamo, mettiamola così per il semplice motivo che queste erano le intenzioni originarie che ho sostenuto in seno al governo Prodi. La proposta politi- ca, ora, consiste in un appello bipartisan: migliorare il testo prevedendo la perdita della potestà genitoriale anche in caso di condanna per il delitto di impiego di minori nell’accattonaggio. Con una pena edittale più alta, da 3 mesi a 3 anni e 6 mesi, per consentire l’arresto in flagranza e il ricorso alla direttissima. Un rito più rapido, effettivamente dissuasivo: così i giudici avrebbero un chiaro riferimento della volontà del Parlamento».

Scusi Rutelli, da presidente del Copasir (Comitato di controllo sui servizi, ndr) come fa a seguire questo genere di problematiche?
«Guardi, le dico che nella nostra prima relazione al Parlamento sulla tratta degli esseri umani ci sarà un capitolo consistente sullo sfruttamento dei bambini che coinvolge migliaia di minori non accompagnati giunti nel nostro Paese. Molti di loro sono sfruttati sessualmente, per l’accattonaggio, per il lavoro minorile. Tutto ad opera della malavita senza che, devo dire, l’intelligence si sia occupata a fondo della tratta negli anni passati: poca cooperazione internazionale, scarse analisi su gli interessi che alimentano una spietata criminalità».

Lei si è occupato molto del dramma dell’infibulazione. Anche per questa pratica illegale c’è bisogno di misure di polizia?
«Fortunatamente contro la pratica dell’infibulazione, che spesso è un’imposizione dei capi maschi capace di generare violenza e atroce umiliazione in alcuni gruppi etnici, c’è stata una grande mobilitazione culturale femminile. Il fenomeno sembra ridimensionato, in Italia, grazie anche alle strutture come il servizio di medicina preventiva della migrazione del San gallicano guidato dal dottor Aldo Morrone. In queste ore, in cui i pescatori di Mazara del Vallo hanno salvato dalla morte sicura centinaia di immigrati, riconosciamo le virtù civili di un Paese in cui va tutelata sempre la vita e la dignità umana. Anche dei bimbi rom agli angoli della strada».

Dino Martirano
03 dicembre 2008

martedì 2 dicembre 2008

Sabina Guzzanti Intervista Paolo Guzzanti 1° Puntata

6 parti
1)

2)

3)

4)

5)

6)

Il vero conflitto di interessi. Sky - PD

La faccenda Sky puzza di conflitto di interessi. Ma non è quello che vuole fare credere l'opposizione, ovvero punire il concorrente di mediaset premium, ma semplicemente l'abrogazione di un priviliegio (l'iva al 10%, anzichè al 20%, come tutti).

Il conflitto di interessi è un altro.

Chi trasmette ''Youdem''? La TV del PD?
Sky.
Chi trasmette ''Red''? la TV di D'alema e dei dalemiani?
Sky.

Ho finito.

Repubblica è un giornale ridicolo

Perchè il socialismo non funziona

In una società dove "chiunque da secondo le proprie possibilità e riceve secondo i propri bisogni"....
Ci daremmo tutti malati!

Per questo il socialismo non funziona, perchè ha bisogno della coercizione.

Immaginiamo un lavoratore delle piantagioni cubane che ad un certo punto dice "io non voglio più lavorare".Quando ha fame, dice "datemi da mangiare." e glie lo danno. Lo Stato gli garantisce comunque i suoi bisogni.Potrebbe farlo? Se fosse così ben pochi cubani lavorerebbero... per tuti gli altri.

E allora la formula vera più o meno così:" Chiunque è costretto a lavorare secondo le sue possibilità e riceve secondo il suoi bisogni (se ce ne è, ma comunque per primi i vertici di partito)".